“Per un po’. Storia di un amore possibile”:chiacchierata con Niccolò Agliardi

Niccolò Agliardi, “Per un po’. Storia di un amore possibile”,

Salani Editore

Romanzo

Pagg. 252

€ 16,00

Con Niccolò Agliardi (arch. personale)
Audio Intervista a Niccolò Agliardi

Niccolò Agliardi “Per un po’- Storia di un amore possibile”, Salani Editore

Mi piacciono le belle storie vere, scritte bene come quella che sto per proporvi.

Niccolò ha quarant’anni e si definisce “un uomo fortunato”: è un cantautore ed un autore di canzoni affermato e stimato; frequenta una bella ragazza, ma non è sposato e non ha in programma di farlo; ha una famiglia scomposta ma che risponde ad ogni suo richiamo, buoni amici e un corpo in salute, malgrado tenda ogni tanto all’ipocondria; soprattutto, dice Niccolò, “Ho una quota di bene che la vita mi ha concesso e non so dove metterla, se non nelle mie canzoni, ma non mi bastano più”.

Proprio la musica gli fa conoscere sul set di “Braccialetti rossi”, di cui scrive la colonna sonora, una storia di affido familiare.

Così, “per restituire una parte del bene che ha ricevuto” (sono le sue testuali parole), Niccolò decide di diventare padre affidatario.

Nel suo terzo romanzo “Per un po’: storia di un amore possibile” (Salani Editore), Niccolò Agliardi racconta la storia sua e di suo figlio Federico: è una delicata storia di accoglienza, che Agliardi narra con una sincerità così
disarmante da non far sconti a nessuno, nemmeno a se stesso.

L’incontro con Federico (il nome è di fantasia), un diciottenne dal passato doloroso che “ha un destino, ma non una destinazione”, è fatto di alti e bassi, di risate e di litigi, di minuta quotidianità e di grandi problemi: ma, come recita il sottotitolo, si tratta di un amore possibile, che smentisce nei fatti la provvisorietà del tagliente “per un po’” del titolo.

Oggi Niccolò Agliardi è padre affidatario di un secondo ragazzo, senza tuttavia avere mai smesso di essere padre di Federico, per il quale ha scritto anche una intensa canzone: “Jonny”: perché il bene vero può durare per sempre e, infatti, lo fa.

E’ difficile raccontare sentimenti importanti come quelli che portano alla scelta di diventare genitore single affidatario senza scadere nel sentimentalismo: Niccolò Agliardi ci riesce con questo libro che, conquistando i lettori, a poche settimane della sua uscita è già alla seconda ristampa.

L’Autore:

Niccolò Agliardi nasce a Milano nel 1974.

Negli anni del liceo classico comincia a scrivere le sue prime canzoni. Si laurea in Letteratura Italiana Presso l’Università Statale di Milano.

Scrive e collabora con grandi artisti italiani e internazionali (Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Zucchero, Elisa, Emma Marrone, Patty Pravo, Roberto Vecchioni, Emis Killa, Damien Rice, Bryan Adams e molti altri).

Ha vinto due volte il Premio Lunezia (per “Da Casa A Casa” e “Non Vale Tutto”), ha vinto un Ascap Award ed è stato nominato ai Latin Grammy Awards per il brano “Invece No” di Laura Pausini, con la quale firma anche il singolo “Simili”.

Direttore artistico e compositore delle canzoni originali della colonna sonora per le tre stagioni della serie tv record di ascolti “Braccialetti Rossi”, ha ricevuto in occasione del Festival del Cinema di Roma 2014 due premi come migliore colonna sonora dell’anno per la sezione fiction e migliore canzone originale con “Io non ho finito”.

È collaboratore alla cattedra di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi di Milano e docente di tecniche di scrittura creativa.

Ha pubblicato con Alessandro Cattelan il romanzo best seller “Ma la vita è un’altra cosa”(Mondadori); nel 2016 ha pubblicato con Salani Editore il suo secondo romanzo, “Ti devo un ritorno”.

Nel 2018 è autore e conduttore del programma “Dimmi di te”, in onda su Rai1.

Il 14 Settembre 2018 viene pubblicata la sua prima antologia, “Resto“, anticipata dall’inedito “Johnny“, il brano scritto per il protagonista del nuovo libro, suo figlio Federico.

 “Per un po’. Storia di un amore possibile”, (Salani editore) è il suo terzo romanzo.   

Ecco l’intervista a Niccolò Agliardi, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.

Canzone consigliata: “Johnny”, Niccolò Agliardi.

Giancarla: Parole di gioia, perché sono al telefono con Niccolò Agliardi. Grazie, Niccolò. Come stai?

Niccolò Agliardi: Sto bene, grazie. Ovviamente, come ben sai e spieghiamo a chi ci sta seguendo, è gioia restituita e reciproca.

G.: …Perché noi ci vogliamo bene davvero. Ma parliamo di questo tuo bel libro cominciando subito dalla domanda che tutti si sono fatti e ti hanno fatto: perché?

N.A.: …Ah, non c’è una risposta precisa, nella maniera più assoluta, e più passa il tempo e più confermo la teoria che a fare tanto è la vita, con le sue circonvallazioni: poi mi sono adeguato in modo assolutamente coscienzioso e responsabile, ma è un adeguamento ad un caso anche ancora adesso non so che direzione abbia. Sto cavalcando l’onda delle possibilità, l’onda delle occasioni, l’onda della vita. E’ vero: c’è il libero arbitrio, ma c’è anche una grande fetta di “sorpresa celeste” (mettiamola così, perché non saprei definirla in maniera diversa)…

G.: …Però a pagina 12 hai scritto una frase (bellissima): “Ho una quota di bene che la vita mi ha concesso: non so dove metterla, se non nelle canzoni, ma non mi bastano più”…

N.A.: Sì, quella è la premessa corretta e la ribadisco, ma ognuno ha “una quota di bene”: non tutti diventano genitori affidatari, ma questo non fa di me né un eroe, né un “anomalo”, né uno “speciale”. Stavo facendo un programma televisivo e mai come in quel momento sentivo che ero un uomo fortunato: è successo che mi venisse raccontata la storia di un affido e semplicemente ho pensato “Perché no? Perché non io?”. Nella mia vita ne ho passate un po’, di belle e di brutte (più belle che brutte, in tutta sincerità) e quindi ho creduto che casa mia fosse sufficientemente accogliente, e che anche la mia “quota di bene” lo fosse. Non voglio che quello che dico sembri una banalità che depotenzia una scelta, ma la premessa è che, semplicemente, ero pieno e presuntuosamente ero capace di accogliere: dico presuntuosamente perché, in realtà, ad accogliere in quel modo bisogna imparare.

G.: Quando si accoglie un figlio è evidente che è l’amore a mettere tutto in gioco…Magari poi si tratta di decidere se sia un desiderio, o un bisogno, di dare o di ricevere amore: che ne pensi?

N.A.: Eh, questo è un tema cruciale, perché senza ipocrisia bisogna anche ammettere che diventare genitori tardivamente e di figli non biologicamente generati sicuramente nasconde, o sottintende, una quota di bisogno di qualcosa per sé; è innegabile e bisogna stare attenti a far coincidere questo bisogno con il bisogno della persona che si sceglie di accompagnare. Ne parlo anche nel romanzo: c’è stato un momento in cui, al corso preparatorio, ho ascoltato le testimonianze di alcuni “colleghi” che non credo siano stati inseriti nel database dei potenziali genitori perché era evidente questo bisogno di riempire una solitudine; per fortuna ci sono operatori molto capaci che intervengono a limitare quello che deve essere assolutamente scongiurato e cioè proporsi come genitori affidatari per colmare vuoti di una incolmabile solitudine.

G.: Niccolò, è persino banale ricordarlo, ma la genitorialità non è un fatto necessariamente biologico, no?

N.A.: Esatto: … e credo di poter essere il testimonial più accreditato per dire che si diventa papà, e si è felici di essere papà, senza esserlo “organicamente”.

G.: L’altra domanda è relativa allo stato di transitorietà: almeno dal punto di vista legale, visto che è evidente che il “per un po’ ” è legato solo a quell’aspetto della questione.

N.A.: E’ la verità. Lo dico e lo racconto spesso, e in pochi ci credono, ma quando si diventa genitori affidatari l’ultimo dei problemi è quello del futuro; almeno, così sta capitando a me. Io ho troppe cose da pensare prima di stabilire come mi sentirò se uno dei miei due ragazzi dovesse scegliere (o un giudice dovesse farlo per lui) di tornare alla sua famiglia di origine, perché la quotidianità diventa talmente incombente (…il compito in classe, la giustificazione, le lavatrici, la visita medica) che non si ha il tempo per pensare a quello che sarà. Soprattutto – almeno, così è capitato a me – c’è il sapere che, qualunque cosa accada, non è certamente la decisione di un tribunale che può arginare il bene che si crea, e che nel mio caso fortunatamente si è creato e ci tiene uniti, io e i miei due figli affidati.

G.: Certo: si pensa al momento del distacco come dolorosissimo, ma in realtà è un passaggio che fa parte della normalità di una famiglia…

N.A.: Infatti nel libro parlo di un ragazzo che nel momento in cui è entrato in casa mia aveva compiuto da pochissimo la maggiore età e quindi questa era una cosa che avrei messo in conto a prescindere da una decisione giuridica, perché si suppone che quando compie diciotto anni un ragazzo abbia un solo, grande desiderio: abbandonare il tetto familiare e trovare una propria autonomia. Insomma, mi sembra che tutto sia nell’ottica di una grande e rassicurante normalità.

G.: Torniamo alla storia: a un certo punto, dunque, tu incontri Federico che, come si legge nel libro, è “un diciottenne con un destino, ma non una destinazione”. Insomma, un ragazzo che aveva un vissuto molto doloroso. Quando vi siete incontrati chi dei due aveva più paura dell’altro?

N.A.: Domanda interessante. No, non mi sembra che ci sia stata una atmosfera di paura: mi sembra fosse più timidezza. Tutti e due, a quel punto, avevamo già avuto a che fare con la “paura” e quindi quando ci siamo incontrati era più un “Vediamo che cosa ci sta capitando…” Non sto dicendo che siamo arrivati lì tutti e due a cuor leggero, però c’era una sorta di complicità, una sottesa alleanza, già da subito.

G.: Sei un artista apprezzato e famoso, e non si può prescindere dal fatto che tu sia una persona nota: questo che tipo di influenza ha avuto (…se l’ha avuta)?

N.A.: …Mah…Una persona nota? …Sì, ma la mia è una notorietà molto gestibile. Per esempio, mentre ti parlo sono al supermercato e non vedo folle urlanti e persone che mi si avvinghiano…!

G.: … Beh, ma questo perché sicuramente avrai la cuffia…!

N.A.: …Sì, ho una felpa, perché fa ancora freddo…! No, a parte tutto devo dire che questa cosa in verità né a Federico (chiamiamolo così per convenzione, come il personaggio del mio romanzo), né al suo fratello acquisito (cioè l’altro figlio che ho in affido) interessa in alcun modo e non è in nessun modo percepita né come un vantaggio, né come uno svantaggio. So che a volte raccontano del loro papà come uno che fa un po’ di “cose”, ma non mi sembra che vadano vanagloriandosi delle mie attività. Del resto, lavoro nel pubblico ma per carattere, per attitudine, non mi esibisco, non mi manifesto in maniera aggressiva se non sono sul palcoscenico: penso che loro lo abbiano avvertito e utilizzino più o meno la stessa grammatica.

G.: Insomma, si respira un grande senso di normalità nelle tue parole, quindi ti chiedo: che cosa serve per essere padre e figli?

N.A.: Serve una enorme dose di improvvisazione e una enorme dose di non essere improvvisati. So che sembra un controsenso, ma improvvisazione significa ricalcolare continuamente la traiettoria del proprio navigatore personale, perché sai di dover andare da un punto a un altro, hai la sensazione che ci sia una strada da percorrere e, durante un affido, la maggior parte delle volte quella strada viene smentita e te ne devi inventare un’altra (… che poi, forse è un lato divertente del cammino). Come nella musica: nel jazz è vero che un jazzista improvvisa, ma lo fa con una dose di preparazione; nel mio caso la preparazione non è stata “da genitore”, ma spero di poter dire sia stata una scuola di buonsenso, di senso di responsabilità, di amore per me stesso, per i confini e per le regole… e anche per la trasgressione delle regole, ma conoscendole. Credo che questa sia una delle cose che sto insegnando ai miei ragazzi, che invece, purtroppo, hanno invece un trascorso di pochissime regole e spesso non proprio …ortodosse.

G.: A Federico hai anche dedicato una canzone, accompagnata da un bellissimo video: “Johnny”. Quasi ti sei stupito, racconti nel libro, di aver fatto questa cosa che pensavi che mai avresti fatto nella vita. Come è andata?

N.A.: Beh… Io, da amante dei cantautori e da conoscitore di certi artisti dei quali mi dichiaro sempre “illegittimo figlio” (peraltro, non riconosciuto), ascoltando “Raggio di sole” di De Gregori, o “Avrai” di Baglioni, o tante altre canzoni scritte dai cantautori che hanno segnato la storia della musica e le emozioni di ognuno di noi quando le ascoltava, mi sono sempre detto che se fossi diventato “papà” non avrei saputo scrivere qualcosa di eguagliabile o che perlomeno non sfigurasse … Ma poi mi sono detto: “Vabbé, sono un papà affidatario e una canzone sull’affido secondo me non l’hanno ancora fatta…”. E così mi sono preso questo lusso. La cosa bella è che la canzone che gli ho dedicato a Federico è piaciuta, ogni tanto la canticchia e questo mi fa piacere.

G.: “Per un po” è il tuo terzo libro. Forse ti ho già fatto questa domanda, ma che cosa è per te, ad oggi, arrivato al terzo libro, scrivere un romanzo?

N.A.:… E’ un periodo di tempo: anche un periodo di disciplina, perché scrivere, per me, comporta molta disciplina. Non essendo io uno scrittore – e non mi considero tale nemmeno dopo il terzo romanzo – mi succede che devo sforzarmi di svegliarmi anche abbastanza presto la mattina, concentrarmi e impormi uno spazio di tempo che normalmente utilizzerei facendo altro. E’ un lavoro, ma un lavoro che mi piace, di un periodo: non posso dirti che sia il mio lavoro perché sarei presuntuoso, ma sono dei mesi in cui io decido che “per un po’” (vedi? ritorna il titolo del romanzo) faccio quello. …E’ molto doloroso, perché è doloroso scrivere per tante ore al giorno e, soprattutto, rileggersi. Guardarsi allo specchio è una controfase: è il soggetto che diventa complemento oggetto e non è sempre semplicissimo.

G.:…Però il libro va molto bene e, nel momento in cui stiamo registrando, siamo alla seconda ristampa.

N.A.: Sì: mai l’avremmo immaginato, questo risultato…

G.: Perché?

N.A.: … Non so…Forse per pudore… Io sono un cantautore, sono un autore, ogni tanto un radiofonico, qualche volta un televisivo…Vedersi in libreria e in classifica è appannaggio di pochi… Sapere che sei insieme a colleghi che vendono tanti e tanti libri, come la Ferrante, o a capisaldi della letteratura… Vabbè, in Italia si vendono pochi libri e quindi stiamo parlando di cifre che non devono far girare la testa, ma sapere che sei accanto ai romanzi che hai letto da ragazzino e che sono ancora lì che vendono è  emozionante…

G.: Il tuo è un bel libro e bella è anche la tua prosa, molto elastica, veloce, accurata nei dettagli, come sempre è la tua scrittura. Una curiosità: siccome dici che non fai lo scrittore, ma per caso fai anche il carabiniere?

N.A.:  Ah, no…! Mi sono scattato una foto in costume sul set di un film che uscirà l’anno prossimo: un bel film, con un cast importante (Bentivoglio, Muccino, Maya Sansa). Io ho fatto una piccolissima parte: quasi un cameo, niente di più.

G.: Ma secondo te chi potrebbe leggere questo libro più adeguatamente?

N.A.: Secondo me lo possono leggere i ragazzi, per capire quanto per i loro genitori sia difficile gestire la quotidianità in base alle loro spericolatezze e intemperanze. Le intemperanze di Federico sono sicuramente aggravate dal suo passato, ma non sono troppo diverse da quelle di tanti altri diciottenni e quindi, se lo leggono i ragazzi io sono felice. In effetti sta succedendo più o meno questo: ovviamente lo stanno leggendo tanti genitori, alcuni di loro in difficoltà ma, soprattutto, lo stanno leggendo tanti ragazzi. La cosa strana è che i ragazzi si divertono di più e capiscono che non è un libro che parla di difficoltà, ma è un libro di amore, mentre gli adulti spesso mi dicono: “Eh, ma quanto hai faticato!” …Mah,… sì: ma anche quanto ci siamo amati e quanto continuiamo ad amarci, aggiungerei…

G.: Beh, mi sembra la conclusione perfetta. Ti ringrazio, Niccolò: di questa intervista, della tua disponibilità e della tua sensibilità (tienila da conto: è merce rarissima). Ti riascolterò anche con la tua nuova, bellissima canzone: “Di cosa siamo capaci”… che è un altro colpo al cuore non da poco…

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