“L’occasione”: questa è una (piccola) storia vera.


L’occasione: questa è una (piccola) storia vera”*.

Qualche anno fa, una nuova famiglia è venuta ad abitare vicino casa mia: madre, padre, due figli universitari e un cagnolone meticcio.

Socievoli e aperti, nel giro di pochi mesi i nuovi vicini avevano fatto amicizia con l’intero quartiere, al contrario di me, che pur vivendo lì da lustri e lustri a mala pena ne conosco due o tre famiglie.

La moglie, soprattutto, è l’esaltazione della solarità: lasciare il provvisorio “lei” dei primi tempi per il più amichevole “tu” le è venuto del tutto naturale, così come il passaggio dal “tu” agli abbracci e baci ogni volta che mi incontra è stato altrettanto veloce e spontaneo (e lo ha deciso di nuovo lei, ovviamente).

Specie di questi tempi tanto inclini alla lite e al rancore, sono felice quando incontro persone così, con il sorriso pronto e l’entusiasmo nelle vene: mi piace chi si apre al mondo senza difficoltà, insomma, anche se all’inizio tutto questo suo entusiasmo mi spiazzava e lo ritenevo francamente un po’ eccessivo.

Qualche tempo fa l’ho incontrata casualmente in un negozio di abbigliamento. Ero entrata dopo qualche incertezza: il cartello “Fuori tutto per chiusura definitiva” mi rattrista sempre. Un esercizio commerciale che chiude perché non ce la fa più a coprire le spese è una perdita per la comunità e se si tratta di un negozio importante e storico la malinconia aumenta; e poi penso a chi si ritrova senza lavoro, situazione dolorosissima e spesso irreversibile. Per questo approfittare delle super-offerte mi fa sentire in difetto, come fossi una specie di sciacallo che ingrassa sulle disgrazie altrui: …ma sono pur sempre femmina e la parola “sconti” esercita su di me un richiamo pressocché irresistibile.

Così, dicevo, quella mattina entrai un po’ riluttante, vittima consenziente della mia curiosità: non avevo in programma nessun acquisto, volevo solo ficcanasare.

“Ciao! … Ma guarda chi c’è! Che bello! Sei qui anche tu a caccia di affari’?”

La voce altisonante della mia vicina mi raggiunse quasi simultaneamente al suo tumultuoso abbraccio:

“No, sono qui per pura curiosità. Tu?”

Lei, invece, cercava qualcosa di … “elegantino”, mi spiegò:

“Questo negozio ha sempre cose bellissime, di qualità, con un grande assortimento. Vivo praticamente in tuta e scarpe da ginnastica, mi vesto sempre come un maschiaccio, ma mi serve anche qualcosa di più formale, di più femminile: metti che vada a cena da “Chez Maxime!”.

La sua risata echeggiò nel negozio, distraendo per un attimo le decine di fameliche clienti pronte a spolpare quello che ne rimaneva, aggirandosi fra i molti reparti col coltello fra i denti: almeno, questa fu l’immagine che si delineò nella mia mente.

Io no: ero lì solo per curiosare, non per saccheggiare, mi dissi con una certa sussiegosa superbia, … dispiacendomi subito dopo per aver inserito involontariamente anche la mia solare vicina in quel novero di iene. Per espiare quel pensiero antipatico accettai volentieri il suo invito ad aiutarla a trovare qualcosa di adatto: alta, il bel fisico asciutto da sportiva appassionata di lunghe camminate, non mi fu difficile accostare per lei una blusa di seta ad un paio di comodi pantaloni scivolati sui fianchi, morbidi, ampi e decisamente femminili come lei desiderava, ma pur sempre pantaloni.

Mentre la aspettavo fuori dal camerino, la mia attenzione venne attirata da un abitino che se ne stava timidamente lì in disparte, unico fra molti altri uguali: faceva quasi tenerezza; impossibile non notarlo. Mi avvicinai, certa di essere immune dalla tentazione di provarlo (perché io ero lì solo per guardare, no?): era un tubino nero con inserti bianchi e, giusto per evitare l’effetto “Juventus”, alcuni piccoli dettagli color rosa qua e là.

Chic, …molto, molto chic.

Devo ammettere che per questo modello di abito ho una vera passione, perché è estremamente femminile ma anche pratico, e cambiando gli accessori si adatta a mille occasioni: con una decolletée col tacco e un filo di perle è formale ed elegante, ma con un paio di allegre ballerine basse e la giusta bigiotteria va benissimo per il caffè e pasticcini al bar con le amiche. Non a caso il mio armadio custodisce diversi di questi esemplari, che però uso poco, dato che la mia vita è tutt’altro che mondana.

“Wow! Bellissimo!”: la voce stentorea della vicina mi investì alle spalle come un ciclone. “Provalo!”, aggiunse imperiosa.

“… Ma no, non mi interessa: stavo solo guardando. Ehi, ma tu stai benissimo!”.

Il mio tentativo di sviarla fallì miseramente.

“Provalo, dai! Mamma mia, quanto mi piacerebbe un vestito così, ma a me non stanno bene per niente questi modelli… E poi, guarda: è firmato e lo vendono col 70% di sconto! Dai, fammi vedere come ti sta!”, implorò.

“Le starà di sicuro bene, signora” – la voce flautata che mi stava lusingando era della commessa che, attirata dall’entusiasmo della mia vicina, si apprestava a fare il suo lavoro di venditrice – E’ anche l’unico che ci è rimasto” aggiunse abilmente per stimolare la cacciatrice di affari che sobbolliva in me.

“Ecco perché lo scontano così tanto: è un fondo di magazzino” – mi suggerì velenosa e prudente una vocetta maligna nel cervello.

“E’ della collezione di quest’anno: in questo reparto di capi firmati teniamo al massimo due vestiti uguali, uno per taglia fra le più adatte al modello” concluse la commessa, come se mi avesse letto nel pensiero.

“… Ok, lo provo, ma solo per curiosità: … e poi magari nemmeno mi va bene”

“Ah, no: a occhio, invece, è proprio della sua taglia”, sentenziò convinta la venditrice.

Mi infilai nel camerino con l’abito, decisa a tagliar corto una situazione che stava diventando decisamente troppo imbarazzante per il mio carattere: lo avrei provato e poi avrei detto che no, …non mi convince…lasciamo perdere

“Evviva!” – la mia vicina saltellava sui piedi come una bambina: e poi, infilando la testa nello spogliatoio prima che mi cambiassi, sussurrò con aria complice – A questo prezzo… un affare, non fartelo scappare!”

Il tubino – come aveva previsto la commessa, ma del resto avevo da subito capito benissimo anche io – mi andava a pennello.

“…Hai visto? Mamma mia, sembra che te lo abbiano cucito addosso!”: e per sottolineare il suo entusiasmo, la mia vicina battè felice le mani.

Va bene: adesso ero ufficialmente in imbarazzo. Tutto questo suo entusiasmo per un vestito che nemmeno comprava per sé mi sembrava eccessivo, davvero.

Il tubino era bello (e poi, onestamente, già lo immaginavo abbinato a quelle mie scarpe sfiziose, dello stesso tono di rosa dei suoi dettagli), il prezzo era conveniente, ma comunque rimaneva il fatto che non ne avevo bisogno.

“ Vorrei provare anche io l’abitino che indossa la signora: c’è della mia taglia?”. La domanda era di una cliente un po’ più in carne di me, che evidentemente si era vista tutta la scena, magari sperando che io comunque mollassi l’osso (pardon: il tubino) almeno per fare un tentativo: hai visto mai?

“Mi spiace: quello che la signora sta provando è l’unico che abbiamo” flautò con voce suadente e tono significativo la commessa, che mi lasciò con un sorriso da Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie per proporre una alternativa all’altra cliente, che allontanandosi mi disse: “Oh, che peccato…Però lei lo compri, signora: è proprio bellino”

Era troppo.

“Dai, hai sentito? Ancora ci pensi?”: la mia vicina ora mi parlava dolcemente.

“Ma sì, è bello, però… Guarda, io non sono una che sta tanto a cincischiare: se una cosa mi piace, mi sta bene e me la posso permettere la compro. E’ che davvero questo abito è un di più ed è anche elegante, non si può mettere per tutti i giorni: io faccio vita ritirata, quando avrò occasione di usarlo?”


Fu in quel momento che, per la prima volta da quando la conoscevo, la mia vicina si fece cupa:

“Va bene: allora ti dico quello che penso; tanto siamo amiche, no? Qualche anno fa ho avuto il cancro: ora sto bene, grazie al Cielo, ma la malattia ha totalmente cambiato il mio modo di vedere la vita. Ho capito che bisogna vivere giorno per giorno perché “Del dimàn non v’è certezza”, “Carpe diem” e tutto quello che ti pare a te – le parole erano scherzose ma il tono era serio, come il suo sguardo – Capisci?… Quello che voglio dirti è che se l’occasione non ce l’hai la devi creare tu. Se stiamo ad aspettare che i bei momenti ci capitino addosso come fosse un nostro diritto, stiamo freschi. Insomma: compra ‘sto vestito e inventati una bella occasione per sfoggiarlo. Oh, là!”.

Ci siamo guardate e non ho potuto fare a meno di abbracciarla.

Cinque minuti dopo, tutta gongolante, ero alla cassa a pagare il mio nuovo e scicchissimo tubino elegante.

“Ah, bello! – a parlare era la cassiera- e poi, a questo prezzo è una vera occasione!”

All’unisono la mia vicina ed io siamo scoppiate in una grande risata, mentre l’altra ci guardava interdetta.

“Eh sì, proprio questo ci stavamo dicendo, la mia amica ed io” ho aggiunto, strizzando l’occhio.

Qualche giorno più tardi, memore della lezione, “creavo l’occasione” e, giusto per non dimenticarla, mi facevo fotografare raggiante con il mio tubino d’occasione.

La morale della storia? …Beh…

(Giancarla Paladini)

*: la storia è vera, ma alcuni particolari sono stati modificati per garantire la privacy di terze persone.

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2 thoughts on ““L’occasione”: questa è una (piccola) storia vera.

  1. Abbiamo bisogno di queste piccole storie che fanno più leggeri i giorni.. Ti aspetto a trovarmi con il bel vestitino e ti abbraccio

    1. Che meraviglia le tue parole! Grazie mille, Elena: lo indosserò, promesso. A presto (davvero), con un abbraccio forte forte

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