“L’amico giusto”: chiacchierata con Marco Cesari

Con Marco Cesari- 2019 (Archivio Personale)

Marco Cesari, ” L’amico giusto”, Mursia Editore, 2019

Pagg: 264
€ 17,00

Disponibile anche in formato Kindle

Audio intervista a Marco Cesari, “L’amico giusto”, Mursia Editore

Estate 1984. Mattia ha quattordici anni, una famiglia “normale”, molte insicurezze e un po’ di batticuore all’idea che, fra poche settimane, inizierà a frequentare le scuole superiori. Intanto è in vacanza sul lago e mentre cerca di fare abboccare almeno un pescetto viene apostrofato da Luca, stessa età, ma contrariamente a lui – almeno questo pensa lo sbalordito Mattia – già padrone del mondo.

I due ragazzi non possono saperlo, ma da quel momento li legherà una amicizia che fra alti e bassi, vicinanze e allontanamenti, rivalità e complicità, durerà per sempre.

Dunque, il perno attorno al quale Marco Cesari, vincitore dell’edizione 2019 del Premio RTL-Mursia, ha costruito “L’amico giusto” (Mursia Editore) sembrerebbe essere l’amicizia: come spiega lo stesso Autore nell’intervista, insieme a questo, in realtà, l’altro tema cruciale del romanzo è il desiderio dei giovani di realizzare se stessi, liberi dagli altrui condizionamenti, ed il diritto – e la fatica – di riuscirvi.

L’amico giusto” ci racconta con prosa fluida e piacevolissima le vicende, dai banchi di scuola all’età adulta, di Mattia (voce narrante), Luca e, presto, anche Alice, rivelandosi un vero e proprio romanzo di formazione: i protagonisti si apriranno alla vita ciascuno seguendo la propria strada, a volte anche dissestata, e lasciandoci convinti che, comunque vadano le cose, gli Amici con la A maiuscola finiscono col diventare la nostra famiglia, forse anche più solida di quella che ci ha generato.

Una curiosità. Grande appassionato degli anni ’80, Marco Cesari ha voluto corredare il volume con l’indice dei film e delle canzoni citate nel corso del romanzo: una scelta che, personalmente, approvo in pieno.

L’AUTORE

Marco Cesari, nato a Brescia nel 1982, è laureato in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo. È appassionato di cinema, di musica e di fumetti. Vincitore dell’edizione 2019 del Premio RTL-Mursia, “L’amico giusto” (Mursia Editore) è il suo primo romanzo.

Ecco l’intervista a Marco Cesari, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina

Canzone consigliata (anzi, album): “MCMLXXXIV”, Van Halen

Giancarla: …Insomma, un bel giorno, un signore decide di scrivere un romanzo cimentandosi con un genere che fino a quel momento non aveva frequentato: il romanzo partecipa ad un concorso e lo vince. Grande stupore dell’Autore, ma grande gioia dei lettori, perché il romanzo del quale parliamo è davvero molto piacevole. Caro Marco, ci racconti come sono andate le cose?

Marco Cesari: Beh, ho partecipato quasi per gioco con un romanzo che avevo scritto da circa un anno. Il concorso RTL-Mursia è particolare, perché prevede tre giurie: quella della casa editrice, quella della radio e quella popolare. Il mio romanzo ha vinto, inaspettatamente: mi hanno telefonato per informarmi dei vari passaggi (il posizionamento nei primi dieci, poi nei primi tre) e infine sono andato a RTL per la premiazione. Per me è stato come cadere dalle nuvole e mi sono trovato in difficoltà, perché non ero assolutamente abituato a quegli ambienti: provavo un imbarazzo fortissimo… Adesso, piano piano, mi sto abituando, ma mostrami in pubblico mi agita sempre un po’.

G.: Devo rivelare che questa non è la mia prima intervista a Marco Cesari, perché, in realtà, ho avuto il privilegio di “tenerlo a battesimo”: in pratica, ho assistito al suo debutto nell’incontro con i lettori. La fotografia in alto, che ci vede entrambi, è stata scattata proprio in quell’occasione. Nel romanzo si parla di amicizia, di una amicizia che dura tutta la vita: anzi, possiamo dire non a caso, per sempre. E’ una amicizia che racconta la formazione dei protagonisti: è così?

M.C.: Mi avevi fatto questa stessa domanda durante la prima intervista e allora era stato più facile rispondere. Mi spiego. Il romanzo parla di due ragazzi, Mattia e Luca, che si conoscono attorno ai quattordici anni e poi affrontano insieme i successivi dieci anni, condividendo tutte le esperienze della vita (le scuole superiori, l’università, il lavoro), frequentandosi più e meno a seconda dei periodi ma sempre confrontandosi, perché hanno due personalità molto diverse (uno, Mattia, è molto timido, ha difficoltà di relazione con gli altri, mentre l’altro, Luca, è sicuro di sé, è quello che illumina la via, gli insegna a vivere, in un certo senso). Se tu ora mi chiedessi di che cosa volevo parlare in questo libro mi sarebbe difficile rispondere, perché ovviamente so bene quali fossero le mie intenzioni ma ora, a tre mesi dalla sua pubblicazione, sono gli altri che mi dicono di che cosa ho parlato: quindi è vero che, a un certo punto, il libro lascia l’Autore e diventa dei lettori. Quello che mi dicono è che il libro parla di amicizia, una amicizia vera, profonda, sincera, senza antagonismi o invidie, ed è così: io, però, volevo parlare della difficoltà di vivere secondo le proprie aspettative, i propri istinti, perché siamo in una società fortemente condizionata da quello che pensano gli altri. Evidentemente, dal riscontro che ho, sono riuscito a parlare meglio di amicizia!

G.: Questo avviene anche perché gli argomenti che tu tratti sono molti: la scuola, l’amicizia, appunto, la famiglia (le famiglie imperfette, quelle reali, e le famiglie perfette, che ci inventiamo costruendole con gli amici). E’ molto interessante quello che dici a proposito del contatto con i lettori: allora, analogamente, ti chiedo se, come dicono molti Autori, anche mentre scrivevi il libro prendeva una vita diversa da quella che volevi dargli…

M.C.: Sì, è vero lo dicono molti e l’ho detto anche io, qualche volta. Mio fratello mi prende in giro: “Quando lo dici, fai il personaggio!”. No, non faccio il personaggio, è davvero così. Io sono partito con l’idea di raccontare la storia di due ragazzini che si incontrano su una spiaggia e iniziano a conoscersi: da quel momento quei ragazzini hanno vissuto di vita propria. Non avevo in mente una vera e propria trama, solo l’idea di raccontare la crescita, insieme, di due amici, ma non avevo scelto che cosa avrebbero fatto nella vita, tanto che i classici momenti di difficoltà, cioè quelli in cui non si sa come procedere, non ci sono stati: sapevo sempre che cosa volevano fare i personaggi. A volte avrei voluto far fare loro determinate scelte che però non sarebbero state coerenti col personaggio, che reagiva alle situazioni secondo la sua personalità. Sono come un narratore cui arrivano informazioni che poi trascrive su carta: questo è quello che sento.

G.: Il loro linguaggio è molto piacevole e divertente, anche perché spesso ricorri al paradosso: i tuoi personaggi ridono e spesso deridono se stessi e la società in cui vivono. E’ un tuo stile? Ti appartiene, intendo? Tu parli così? 

M.C.: Io mi sono sempre messo nei panni del personaggio. Mattia, il più impacciato dei due, è conscio di esserlo: non sono gli altri ad accorgersene, è lui il primo a rendersene conto. Così mi sono detto: “Se io fossi impacciato e conscio di esserlo, forse sarei autocritico ed autoironico”. Così è nato il linguaggio di Mattia, che si deride quando ha problemi con le ragazze o con la scuola, e lo fa con esagerazioni ed espressioni paradossali.

G.: Gli anni ’80 fanno da sfondo: questo fatto mi incuriosisce, perché anagraficamente non appartieni a quel decennio (mentre dire che quel decennio non appartiene a te è già più difficile, dopo avere letto il libro). E’ una scelta dettata dal caso, dall’ispirazione, o da precise esigenze di raccontare determinati argomenti e situazioni?

M.C.: La verità è che a me piacciono gli ’80: mi piacciono la musica, i programmi, gli spot televisivi… E’ una specie di “piacere- nostalgia”: quando, per esempio su You Tube, rivedo la pubblicità del tal gioco in scatola degli anni ’80 provo un misto di piacere e di magone. Mi sarebbe piaciuto viverli, ma sarei dovuto nascere almeno dieci anni prima, essendo del 1982: così ho voluto riviverli attraverso i miei personaggi. Naturalmente ci sono anche motivazioni un po’ più tecniche: i protagonisti sono amici, ma viaggiano molto. Oggi, grazie alla tecnologia, c’è tanto contatto che, per l’assenza di cellulari e social, era più sincero. All’epoca in cui è ambientato il romanzo, se davvero si voleva sentire un amico che viveva dall’altra parte del mondo, bisognava tirar su il telefono (quello in tinello, con la cornetta e la ruota con i numeri) e decidere di sentirlo: erano amicizie forse più sincere. E poi, ce ne erano di meno: non si avevano seicento “amici” su Facebook, ma sentire quei quattro o cinque era uno sforzo anche fisico, era una presa di posizione decidere di continuare a sentirsi… Oggi è più facile mantenersi in contatto: forse troppo, e non si capisce più quando un contatto è sincero o c’è semplicemente perché è facile che ci sia…

G.: Quando si parla di amicizia non si parla solo di pacche sulle spalle, baci e abbracci, ma anche di liti, gelosie, di rivalità, addirittura: malgrado questo, i tre protagonisti (Mattia, Luca e Alice) si cercano. Che cosa li unisce così tanto?

M.C.: La voglia di cercare qualcosa di vero e sincero, tanto più sincero quanto questi ragazzi sono diversi fra di loro. Essere amici quando si è molto simili forse è più facile che essendo così differenti… Luca è forte, deciso, potrebbe anche essere invidiato e potrebbe lasciare da parte il timido e impacciato Mattia, e invece decide di accoglierlo sotto la sua ala protettiva: forse questo è il riconoscimento della bontà dell’uno verso l’altro, del volersi onestamente bene, senza per forza essere troppo simili.

G.: Sei da sempre un forte lettore e ora sei uno scrittore che ha pubblicato con successo un romanzo: non ne abbiamo parlato, ma tu vieni da un tipo di scrittura completamente diversa per forma e scelta degli argomenti (diciamo che eri un po’ più…dark). A questo punto, che relazione hai con la scrittura?

M.C.: In realtà, sto di nuovo scrivendo dei racconti dell’orrore! Mi piace molto variare e so che è difficile, perché i lettori e gli editori cercano di settorializzare lo scrittore, quello che scrive, quello che dice: invece, a me piacerebbe passare da un romanzo di formazione come questo ad uno di fantascienza, o ad un poliziesco, perché quando scrivo mi devo divertire. Se non mi diverto, se diventa un lavoro, allora non mi viene più voglia di farlo: quindi il mio rapporto con la scrittura è soprattutto divertimento e necessità di raccontare storie che, come dicevo prima, non so come andranno a finire, non posso costruire anticipatamente. Per me scrivere è vivere un altro mondo, al di fuori della mia vita.

About Giancarla Paladini

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