Léopold Sédar Senghor “Poesie dell’Africa” Giovane Africa Edizioni

Questa è una storia vera.

Assad, o Azad, o come si chiama, è alto, filiforme, senegalese e nero; sembrerebbe una scultura di Alberto Giacometti, se non indossasse un cappellino con visiera, una t-shirt scura a righe chiare, un paio di bermuda grigi e le infradito ai piedi. C’è da chiedersi come sia possibile che emani odore di pulito malgrado ogni giorno indossi lo stesso abbigliamento: forse è una divisa da lavoro e a casa avrà altre t-shirt e calzoni tutti uguali… Se ne va in giro con lo zaino sulle spalle e approccia la gente con un bianchissimo e smagliante sorriso che spunta tra i baffi e la barbetta ben curati, perché Assad, o Azad, o come si chiama, è un commerciante, anzi, meglio: è un libraio ambulante, monomandatario della “Giovane Africa Edizioni” di Pontedera, editrice specializzata in opere di divulgazione culturale africana.

“Ciao! Come va? Tutto a posto?”: così si rivolge ai bagnanti mollicci e sudati, che lo guardano con malcelato fastidio.

Assad, o Azad, o come si chiama, da anni fa il libraio ambulante sempre nella stessa zona: a volte i villeggianti ritornano e lui se li ricorda tutti.

“Ciao! Come va? Tutto a posto?” aveva detto anche a lei, qualche anno prima. “Sì, grazie” “Stai leggendo?” “Sì, sto leggendo” “Bello, il tuo libro?” “…Insomma…”: la risposta gli fornisce l’assist perfetto. “Ma allora, lascialo stare e leggi uno dei miei: scrittori africani, storie belle”. Parla con voce gentile, sempre sorridente, il suo è un italiano impeccabile, quasi senza accento “No: devo proprio finirlo. E poi devo leggerne degli altri…Mi spiace: sarà per un’altra volta”.

Lei gli sorride ma si vergogna un po’, perché mente sapendo di mentire: la verità è che non ha nessuna intenzione di comprare quei libri e desidera solo chiudere presto il discorso, senza però apparire scortese. “Vabbène, vabbène. Buona giornata e grazie” “Ma no, grazie di che?” “Grazie per avermi sorriso”. “Ah, ok, ora ci prova con le lusinghe”, pensa lei cinicamente: ma lo guarda e, di nuovo, si vergogna, perché Assad, o Azad, o come si chiama, è serissimo. “Figurati, ci mancherebbe…” “Eh, no, ci sono anche quelli che rispondono male”: mentre parla ha il viso rivolto ad un tizio, qualche ombrellone più in là. “Come, “male”…?” “Male: vai via, non disturbare…Dicono così…Invece, basterebbe dire solo Grazie, non mi interessa, no? E si potrebbe dire con un sorriso, come hai fatto tu.” “Certo, certo…” Lei guarda il tale buttato sulla sua sdraio: quello è bello tranquillo, lei si sente in colpa per lui e per tutti i bagnanti della spiaggia perché, anche se il tizio fosse innocente e si trattasse, appunto, di una furbata commerciale di Assad, o Azad, o come si chiama, lei li ha visti davvero quelli di cui lui parla. I vu’ cumprà sono tanti e molte volte troppo insistenti, ma ci vuole ugualmente un po’ di rispetto. Lo pensa e gli dice: “…Eh, ma i maleducati ci sono sempre…” “Però tu mi hai sorriso: io non ho venduto niente, ma va bene lo stesso”.

Gioco, partita, incontro.

Che abbia parlato col cuore o che la sua sia una studiata strategia di vendita, Assad, o Azad, o come si chiama, ha vinto, e lei, qualche giorno dopo, compra due dei suoi libri, ma giusto per cortesia, e li legge così distrattamente che presto nemmeno più se li ricorda.

Se li ricorda lui, Assad, o Azad, o come si chiama, che qualche anno dopo, vedendola, la riconosce: “Ciao! Come va? Tutto a posto?” “Tutto a posto, grazie. Tu?” L’ha riconosciuto anche lei, grazie alla sua divisa e al suo inconfondibile approccio sorridente: “Hai letto i miei libri? Piaciuti?” … Oddio, come le estemporanee a scuola: ora la interroga e lei non è preparata…; ma, fortunatamente, gli basta un “sì” sulla fiducia. “Un altro libro?” “No, davvero, grazie”. “Vabbène, vabbène… Buona giornata”. Lo rivedrà passare ogni giorno e ogni giorno lui la saluterà da lontano, senza insistere.

L’ha rivisto anche quest’anno: stesso zaino, stesso abbigliamento, stesso fagotto di libri sottobraccio, stesso approccio. “Ciao! Come va? Tutto a posto?” “Sì, grazie. Tu?” “Bene, a posto: vuoi un libro? Ce ne ho di nuovi, diversi da quelli che hai comprato”. Ma… davvero se ne ricorda?! “Sì, però non oggi: finisco questo e poi vediamo”. Così, eccolo qualche giorno dopo a proporle i suoi best-sellers: ma lei lo ferma “No, no, hai qualche raccolta di poesie?” La guarda meravigliato: non si aspettava la richiesta, nessuno chiede mai libri di poesia, ma evidentemente la sorpresa gli piace perché, molto compuntamente, sfila subito dallo zaino due libriccini. “Ho il libro di una poetessa, ma io ti consiglio questo” e mostra una raccolta di Léopold Sédar Senghor. “E’ stato il primo Presidente del Senegal ed è il nostro più grande poeta”. In effetti, Senghor è stato il padre della “negritudine” e il primo africano a sedere all’Académie Française, di cui è stato eletto presidente nel 1983.

Assad, o Azad, o come si chiama, è un ottimo libraio: consiglia il libro e le spiega perché sia proprio quello giusto. “Sai una cosa? Senghor è stato il nostro Presidente per venti anni anche se era cristiano e la maggioranza dei Senegalesi è musulmana. Ma a noi, in Senegal, non interessa se sei musulmano o cristiano: noi andiamo a votare ogni cinque anni. Chi vince governa, chi perde va a casa. Tutto tranquillo” “Siete persone intelligenti, siete un popolo intelligente”. La conclusione di lei lo soddisfa: annuisce, serio. Così lei si spinge un po’ più in là, sperando di non essere indiscreta: “Ma tu, che sei musulmano, che cosa pensi di quello che sta succedendo?”. Piccola pausa nel discorso, nella quale lui e lei rivedono, ciascuno nella propria mente, le immagini terribili riportate quotidianamente dai media. “Penso che non è questa la religione, non è per la religione che succede: ci sono dietro i soldi, gli interessi. Vogliono le risorse dell’Africa, stanno uccidendo la natura. La natura è la nostra ricchezza, che succede se la distruggono?”. Ha parlato a voce bassa, senza apparente trasporto, ma convinto. Ancora una piccola pausa. “Va bene, dammi Senghor” “Vabbène: mi dirai se ti è piaciuto, quando ci rivedremo”.

E qui, succede: “Inshallah”, dice lui; “Se Dio vuole”, dice lei.

Insieme.

All’unisono.

Non potrebbero essere più diversi, lui e lei, ma hanno pensato e detto la stessa cosa, con la stessa intenzione, nello stesso momento.

Ancora una piccola pausa, quindi: “Visto?” “Eh, sì!”. Si sono capiti di nuovo. Si danno il cinque, ridendo.

Assad, o Azad, o come si chiama, si alza, raccoglie i suoi libri, si rimette lo zaino, sorride e riparte sotto il sole, come fosse “L’homme qui marche” di Giacometti.

 

“Ho filato per te una canzone” di Léopold Sédar Senghor (1906- 2001),

“Ho filato per te una canzone dolce come un turbante di colomba a mezzogiorno

E mi accompagnava flebile il mio Khalam tetracorde.

Ti ho tessuto una canzone e tu mi hai sentito.

Ti ho offerto fiori selvaggi dal profumo misterioso come gli occhi dello stregone

E il loro splendore ha la ricchezza del crepuscolo a Sagomar

Ti ho offerto i miei fiori selvaggi.

Li lascerai appassire

Oh tu che ti distrai al gioco delle cose effimere?”

da “Poesie dell’Africa”, Giovane Africa Edizioni

Canzone consigliata: “Seven seconds”, Youssou  N’Dour & Neneh Cherry

Traduzione in italiano (dal sito “Canzoni contro la guerra”):

Non guardarmi da lontano
Non guardare il mio sorriso
E non pensare che non sappia
Cosa c’è al di fuori di me
Non voglio che mi guardi e pensi
Che quel che c’è in te è per me
E quel che c’è in me è per aiutare gli altri

Immagino quali siano le ragioni che ci spingono a cambiare ogni cosa
Vorrei che dimenticassimo il loro aspetto esteriore
Così potranno essere ottimisti
Troppi sguardi alla deriva che fanno di loro dei disperati
Lasciamo le porte completamente aperte
Così potranno parlare del loro dolore e della loro gioia
Poi potremo dargli i consigli
Che ci uniranno

Non è questione di un secondo
Ne sono già trascorsi sette
Solo finché sarò presente
Aspetterò

Niente può farci scappare
Eppure dovremo scappare
Da quelli che ci tenteranno con le falsità
Per il figlio e la pietra
Cattivi nel profondo
L’uomo non è malvagio, nemmeno quando è appena nato
E quando un bambino nasce in questo mondo
Non gliene frega niente
Del colore della sua pelle

Non è questione di un secondo
Ne sono già trascorsi sette
Solo finché sarò presente
Aspetterò

Ci sono milioni di voci
Ci sono milioni di voci
Che ti dicono cosa dovresti pensare
Sarebbe meglio che le ascoltassi per un secondo.

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