“La salita di Giovanna”: chiacchierata con Enza Corrente Sutera

“La salita di Giovanna”, Enza Corrente Sutera

La Meccanica delle Idee Editoria&Comunicazione

Pagg 136

€ 10,00

 

Giovanna deve partire. Dall’oggi al domani. Deve lasciare la sua isola di un’isola per un’altra isola.

Buone notizie, intendiamoci: ha trovato lavoro come insegnante e ora lascia Pantelleria per la Sicilia prima, e poi per la  Sardegna, dove prenderà immediato servizio. Niente male, per una ragazza che si è laureata solo tre mesi prima… Per Giovanna, forte di un carattere solido, volitiva e cresciuta nell’associazionismo cattolico, sarà solo l’inizio di una vita “lontana”: lontana dalla sua terra, dal suo sole, dalla famiglia d’origine e dalle sue tradizioni, così diverse dal luogo dove, all’inizio per caso e quindi per scelta, si stabilirà definitivamente. Ma Giovanna, che è una vincente, superando non poche difficoltà personali e professionali formerà la sua famiglia, lavorerà e si impegnerà nel sociale.

Psicologa e giornalista, Consulente Tecnico d’Ufficio presso il Tribunale Civile di Brescia e già autrice di numerose pubblicazioni, con “La salita di Giovanna” (Meccanica delle Idee Ed) Enza Corrente Sutera approda per la prima volta alla forma del romanzo e racconta, partendo dalla vicenda vera di una e tante donne meridionali arrivate al Nord dalla fine degli anni 70, sia una generazione, sia il nostro Paese nell’arco di una trentina di crucialissimi anni. Fatti storici, personaggi epocali, usi e costumi in costante mutamento fanno molto più che da sfondo in questo romanzo di formazione, che si ferma, significativamente, nel 1989, l’anno della caduta del Muro di Berlino.

Ma saranno poi così diversi i problemi italiani di ieri rispetto a quelli di oggi?

E comunque rimane ugualmente sospesa un’altra domanda, che l’Autrice stessa pone: Giovanna è “una meridionale del Nord” o una “settentrionale del Sud”? …La risposta potrebbe arrivare presto, visto che già si parla di un probabile sequel che racconti la vita della protagonista dagli anni ’90 a oggi.

Ecco l’intervista con Enza Corrente Sutera, il cui sonoro originale trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.

Canzone consigliata: “La Donna del Sud”, Bruno Lauzi

 

 

Giancarla: Cominciamo con una domanda…facile-facile: chi è Giovanna?

Enza Corrente Sutera: Giovanna, nelle emozioni raccontate nelle prime pagine, …sono io, è chiaro. Poi Giovanna diventa un incrocio di tante storie femminili, le storie di tutte coloro che, negli anni ’70 e negli ’80, dal Sud sono venute al Nord per motivi di lavoro, con tutto quello che significa inserirsi in un contesto magari affascinante, ma col quale ci si deve confrontare mediando fra le esigenze nuove e le consuetudini lasciate. Giovanna è un’insegnante (ma avrebbe potuto essere un’impiegata, un avvocato, un medico, un’infermiera, un magistrato: comunque è una donna), che si lascia alle spalle tutte le problematiche legate al modo in cui è stata educata, l’ambiente in cui è cresciuta, i genitori anziani… Giovanna viene dalla Sicilia, ma potrebbe venire dalla Puglia, dalla Lucania, dalla Calabria o dalla Campania, che ha lasciato per motivi di lavoro.

G.: …E siamo ad un tema importante del romanzo, quello della emigrazione/immigrazione interna, che in quegli anni era cruciale: in fin dei conti è un tema che, traslato all’oggi, rimane assolutamente attuale, come altri nel tuo libro. Prima di affrontare questo discorso, però, ti vorrei chiedere: come era spostarsi da un’isola, la Sicilia, per arrivare al Nord degli anni ’60?

E.C.S.: In realtà, l’arrivo al Nord è avvenuto attorno al 1971/72: sono stati anni molto importanti, per esempio, nell’ambito dell’immigrazione scolastica, perché un mare di gente “siamo arrivati” (uso il plurale) dal Sud al Nord, c’erano state le “saturazioni scolastiche”. Gli anni ’60 compaiono all’inizio, perché la storia di Giovanna torna indietro al periodo scolastico e universitario: accanto alla storia della “salita” dal Sud al Nord c’è anche quella della “salita” dall’età adolescenziale e giovanile a quella adulta, e le due salite si incrociano. Come era la “salita”? Beh, era bella e affascinante, ma anche molto faticosa. Io lo faccio passare fra le righe, nelle conversazioni che ho immaginato fra gli amici che vivono esperienze lavorative e familiari diverse: ci si incontrava e ci si ritrovava per alcuni aspetti simili e per altri diversi; per esempio, era comune fra le donne il desiderio di restare al Nord ed era comune per gli uomini volere ritornare al Sud – uso il passato, perchè adesso le posizioni sono un poco più sfumate – perché nella differenza Sud-Nord la donna acquisiva in qualità di vita, mente l’uomo…mica tanto! E’ un discorso complesso e nel romanzo trova molto posto, perché nel libro c’è la storia di Giovanna, ma anche quella d’Italia.

G.: Giovanna proviene da una famiglia un po’ particolare: ha più libertà e più fiducia di quanto non raccontasse lo stereotipo della ragazza meridionale del suo tempo.

E.C.S.: Sì, perché Giovanna (e questo è un particolare vero: chi mi conosce lo sa) ha il papà che, pur essendo siciliano, è originario di una località e la mamma, a sua volta siciliana, che lo è di un’altra: quindi, fin da piccola ha viaggiato molto, pur se sempre in Sicilia, e quindi, quando si trasferisce al Nord si è già confrontata con diversi modi di cucinare o di rapportarsi alle situazioni contingenti della vita. Per altri non è stato così: per Giovanna c’è stato sì uno sradicamento, ma è stato tutto sommato relativo rispetto a quello vissuto da molti altri che veramente uscivano di casa per la prima volta. Ma devo dire che, accanto alla storia di Giovanna, c’è anche quella di Lia, che invece non accetta per niente la vita al Nord, con tutto quelle che ne consegue.

G.: Infatti: in fin dei conti, tu fai notare il punto di vista “dell’altra parte”. Noi, di solito, anche grazie alla filmografia, alla letteratura e alla cronaca, conosciamo il punto di vista di chi, al Nord, ha visto arrivare tutti questi Meridionali e magari li rifiuta, mentre tu racconti il punto di vista del Meridionale che non accetta il Nord, che è un punto di vista molto poco esplorato.

E.C.S.: Ti faccio un commento personale. Questo libro è stato pubblicato da qualche mese, la gente mi telefona e i commenti si dividono in due grandi categorie: quelli della gente del Nord che si meraviglia, dice di non sapere, di non immaginare l’altro punto di vista pur avendolo parzialmente intuito, di non essersi soffermata sul problema del vivere lontani dai genitori anziani, o di abortire e trovarsi da sola in ospedale ad affrontare questa tragedia perché la madre non fa in tempo ad arrivare…; dall’altra parte ci sono tutti coloro (non importa la regione di provenienza) che hanno vissuto in un modo o nell’altro questo “salto”, magari anche negli anni ’80 e ’90, e moltissimi mi dicono: “Adesso scriverai la seconda parte!”… Mah, io non so se scriverò la seconda parte, … non lo so: non mi fare questa domanda, perché non lo so…

G.: …Va bene. Allora torniamo alla questione delle tematiche del romanzo. Lo sguardo “storico” farebbe pensare a situazioni oramai dislocate nel tempo: mi riferisco al fenomeno dell’immigrazione/emigrazione, al disagio davanti al “diverso”, al fatto che non si affittassero gli appartamenti ai Meridionali, eccetera…

E.C.S.: …Ma nel libro ci sono molte altre cose: il terrorismo, i referendum, i problemi legati all’educazione sessuale nelle scuole… Tantissimi argomenti “forti” legati a quegli anni.

G.:… Però sono argomenti che potrebbero essere ugualmente estrapolati alla cronaca dei nostri giorni: oggi ancora abbiamo a che fare col problema dell’immigrazione, del terrorismo, della questione femminile (quella del femminicidio è una realtà terrificante del nostro Paese in questi anni), dell’impegno del cattolico nel sociale, un tema, quest’ultimo, che non potrebbe essere più attuale. Secondo te, com’è oggi lo stato dell’arte rispetto agli anni dell’impegno “storico”?

E.C.S.: Beh, diciamo che oggi si può essere apertamente cattolici: pur con la consapevolezza che continuano ad accusarti di mille cose, però ti impegni, lo fai a testa alta, hai il coraggio di farlo. Io mi ricordo gli anni veramente bui – gli anni della strage di Piazza della Loggia (1974: n.d.r): non potevi dire che eri cattolica, rischiavi il linciaggio. Ho partecipato a tutte le grandi o piccole contestazioni dei movimenti neo-femministi a Brescia (io, chiaramente, come cattolica): beh, noi cattoliche eravamo quattro gatte non perché le donne cattoliche non si identificassero nella promozione femminile, ma perché c’era il modo “consueto” di essere stati, cioè guardare alla finestra quello che facevano gli altri. Noi cattolici non siamo abituati ad andare in piazza e quindi si finiva con l’essere come “le vacche di Fanfani”, sempre le stesse che vanno di qua e di là, pur sapendo che avevamo tantissimo sostegno: ma non era un sostegno “pubblico”, non c’era il coraggio di battagliare apertamente su queste cose. Erano anni, io ritengo, veramente difficili: oggi, purtroppo, sono anni difficili perché la realtà è diventata molto più complessa, perché il mondo mediatico ci sfugge, perché ci sono modalità comunicative molto più sofisticate, però si è molto più coraggiosi. Io non so se sono stati i grandi Papi che negli ultimi trenta o quarant’anni ci hanno invogliati, ma sicuramente ritengo che oggi ci sia maggior coraggio: che poi le cose non vadano nella nostra direzione perché ci sono laicizzazione e individualismo imperante, l’impegno è più del volontariato civile che del mondo specificamente cattolico, eh, beh, la storia ci dirà perché avviene… Io adesso non lo so.

G.: Questo è il tuo primo romanzo: come mai hai deciso di scrivere una storia che è a metà fra il romanzo storico e il romanzo di “formazione”?

E.C.S.: Per il mio lavoro. Mi occupo di formazione di giovani e adulti oramai da quarant’anni (io non sono una insegnante di filosofia, come la protagonista del libro, ma sono una psicologa), ho scritto diversi libri sugli adolescenti o sulla questione femminile, e andando molto in giro come formatrice mi accorgo che c’è una grande quantità di persone che non leggerà mai un saggio su che cosa vuol dire educare una figlia femmina, non leggerà mai un articolo di approfondimento su un argomento educativo o sociale di una qualunque rivista, però, magari, leggerà un romanzo, che è più divulgativo, più semplice: è più facile leggere una storia e questo a qualunque età. Allora mi sono detta: uso il linguaggio del romanzo, e quindi la storia, per mettere dentro alcune cose (i problemi educativi, sociali, dell’emarginazione, della crescita, eccetera). E’ questo, per esempio, il motivo per cui l’indice del libro non è un “vero” indice; non si chiama “indice”, ma “i personaggi”, e non ha per titolo un argomento (tipo: “il matrimonio” o “la salita al Nord), ma nomi di persone: sono quasi tutti femminili e solo tre sono maschili perché nel libro c’è una prevalenza di personaggi femminili (ma questo non significa che il romanzo è solo per le donne, tanto è vero che è piaciuto molto agli uomini e… e non me lo aspettavo). I nomi dei capitoli sono nomi di persona perché questo romanzo vuole essere un incrocio di storie che dicono qualcosa: ognuno dei personaggi (il bambino, la bambina, la nonna, la sorella, l’amica, il marito) dice qualcosa, vuole dire qualcosa sui temi del libro.

G.: E che cosa ti dicono i lettori-uomini?

E.C.S.: Mi dicono che entrano nella psicologia dei personaggi in un modo nuovo, perché mai, per esempio, avrebbero riflettuto sugli argomenti di cui discute Giovanna con sua sorella (lei ha scelto di sposarsi, la sorella no e sembra più libera, ma in realtà è molto condizionata dalla gelosia verso Giovanna e da tutta una serie di impedimenti a livello culturale e psicologico che l’hanno bloccata). Sono cose che magari un uomo non coglie fino in fondo.

G.: Giovanna è una ragazza, e poi una donna, molto solida, forte, libera e pretende da se stessa, oltre che dagli altri.

E.C.S.: Sì, molto.

G.: …Una posizione un po’ scomoda, per lei che, comunque, ha anche una parte di grande apertura e generosità verso gli altri: insomma, mette insieme (andiamo per stereotipi, naturalmente) il “rigore” settentrionale e la generosità meridionale.

E.C.S.: Sì.

G.: E allora, Enza, essendo arrivati alla fine di questa nostra chiacchierata, la domanda conclusiva è evidentemente quella della quarta di copertina: Giovanna è una “meridionale del Nord” o una “settentrionale del Sud”?

E.C.S.: … Posso raccontare una storia personale? Una trentina di anni fa, quando il Vescovo di Brescia era Monsignor Morstabilini, facevo parte della Commissione Diocesana per la Famiglia; una volta si discuteva dei primi vu cumpra’ che arrivavano e fra di noi si era aperto il dibattito sul cosa fare, cosa dire, come aiutarli: mi ricordo che mi venne fuori questa frase, che nel libro attribuisco al marito di Giovanna ma in realtà è mia. Ho detto al Vescovo: “Monsignore, io non so se, vivendo qui a Brescia da una decina di anni- adesso sono oramai quaranta – sono una meridionale del Nord o una settentrionale del Sud…”. Perché, a un certo punto, vivi la vita là dove sei, però non puoi tagliare le tue radici, ti caratterizzeranno per tutta la vita: e però vivi da un’altra parte… Secondo me è bello, perché ti apri a nuovi orizzonti e ti rapporti con la vita in un modo diverso, ma è anche problematico.

G.: Allora potremmo dire che sono importanti sia la volontà di integrarsi, sia quella di non rinnegarsi: forse potremmo concludere così. Non ti chiedo come stia Giovanna né se tornerà a trovarci, ma, dovesse mai tornare, la porta di questo salottino è aperta…

E.C.S.: Va bene! Grazie!

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