“Educare alle complessità”: chiacchierata con Antonio Giacometti.

“Educare alle complessità”, Antonio Giacometti

Lamantica Edizioni, 2021

pagg 108

Intervista ad Antonio Giacometti- Audio


“Educare alle complessità”, Antonio Giacometti

In piena epoca della semplificazione (anzi, del semplicismo più ottuso) Lamantica Casa Editrice pubblica “Educare alle complessità”, di Antonio Giacometti, un saggio che in assoluta controtendenza non solo affronta il tema della complessità riconoscendone la irrinunciabile utilità in una società che si voglia definire civile, ma si pone anche come stimolo affinché alla complessità vengano avvicinati con opportuni strumenti educativi i bambini.

“Nessun dubbio che la musica sia mezzo di elezione per avviare questo fondamentale processo formativo nel bambino”: per dimostrare l’assunto basilare di questo agile e al tempo stesso puntiglioso lavoro, l’Autore, compositore noto a livello internazionale e grande appassionato ed esperto di didattica musicale, dopo una prima parte destinata a una riflessione socio-filosofica arriva nella seconda a proporre veri e propri esercizi musicali per “pensare complesso”.

Per dirla con le parole di Giacometti, insomma, “l’arte non deve insegnare solo ad apprezzare la bellezza, fugace, effimera e mutevole, ma a riconoscere la verità (le verità?) nascosta tra le intercapedini della complessa stratigrafia del reale. Solo così potremo ancora permetterci di sognare un futuro”.

Va dato grande merito all’Autore di essere riuscito a condensare con grande chiarezza e solo in un centinaio di pagine un discorso tanto ampio quanto complesso – e non è un gioco di parole – , senza mai far cadere l’attenzione del lettore, anche di quello meno edotto della materia, essendosi rivolto sì agli insegnanti, ma anche ai genitori e persino ai nonni di bambini fra gli otto e i dieci anni.

Corre l’obbligo e il piacere personale di spendere due parole anche sulla Casa Editrice Lamantica, nata nel 2015 per iniziativa di Giovanni Peli: i testi in catalogo sono caratterizzati da micro formato, micro tiratura, il trans gender e la carta azzurra. Senza certamente rinnegare il dichiarato amore inziale per la poesia, oggi Lamantica intende prodursi in svariati generi letterari, dal teatro alla narrativa alla saggistica, senza incasellamenti di collane e linee di demarcazione editoriali”.

Una bella realtà, insomma, nel sempre interessantissimo mondo della micro-editoria.

L’AUTORE

Antonio Giacometti

Antonio Giacometti (Brescia, 1957) è compositore che ha messo negli anni gran parte delle sue energie al servizio di una didattica musicale fondata sulla creatività e sulla pratica del suonare insieme. Oltre a 178 composizioni, molte delle quali scritte per ensemble giovanili o a quattro mani con allievi ed ex-allievi, è autore di numerosi testi didattici, tra i quali il ponderoso volume “Musica d’insieme. Anche senza leggio”, edito nel 2017 da Rugginenti-Volontè. Di prossima pubblicazione per Franco Angeli Editore un libro sulle esperienze di teatro musicale con i bambini. La sua passione per la musica e la cultura brasiliana lo ha portato a realizzare la cantata per voce, coro, trio jazz e orchestra “Uma Sinfonia amazônica”, interpretata nel dicembre del 2019 dalla cantante Karine Aguiar in un memorabile concerto presso il teatro Amazonas di Manaus.

Ecco il testo dell’intervista ad Antonio Giacometti, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina

Canzone consigliata: “Tainá” per orchestra di ragazzi, di Antonio Giacometti

Giancarla: Chi segue questo blog con una certa regolarità conosce la gioia che sempre provo quando accolgo degli ospiti: devo però dire che in questa occasione sono particolarmente contenta, perché non solo ho un ospite importante, non solo parleremo di argomenti inconsueti per questo spazio e proprio per questo a maggior ragione interessantissimi, ma anche perché mi lega al mio ospite una lunga amicizia (…della quale non daremo dettagli cronologici per pudore…). Sono insomma molto felice di avere mio ospite il Maestro Antonio Giacometti, anche perché con il lavoro del quale parleremo (“Educare alle complessità”, Lamantica Casa Editrice) affronteremo tanti argomenti grazie ad un saggio che pur contando poco più di cento pagine tocca moltissimi aspetti non soltanto della musica e della didattica, ma anche della nostra quotidianità. Partiamo da una premessa: viviamo nell’epoca della semplificazione; anni fa, forse lo ricorderete, era stato creato addirittura un “Dipartimento per la semplificazione normativa”; direi, anzi, che siamo in pieno semplicismo, ovvero quello che io definisco superficialità perniciosa. La domanda, quindi, sorge spontanea: perché hai scritto questo saggio? E perché proprio adesso?

Antonio Giacometti: L’occasione è nata dalla richiesta di Giovanni Peli, giovane poeta e scrittore bresciano con il quale ho collaborato in tante iniziative musicali e che molti anni fa è stato anche mio allievo di composizione. Peli ha creato con la moglie questa bella iniziativa editoriale, cioè la Casa Editrice Lamantica, che pubblica libretti piccoli e molto agili, ma con argomenti sempre interessanti: mi aveva chiesto di sviluppare il tema della complessità, che aveva caratterizzato un mio intervento sulla rivista “Brescia Musica”, pubblicazione della Associazione Filarmonica “Isidoro Capitanio” che da decenni si interessa di cultura musicale. Si trattava di un articolo di venticinque anni fa, dunque abbastanza datato, pubblicato in risposta ad un mio ex allievo che su “Brescia Musica” aveva scritto un articolo legato all’importanza della complessità in musica sostenendo che in conservatorio Bach si studia più di Händel perché più complesso dell’altro; io avevo ribattuto che anche molta musica contemporanea è molto complicata, ma che esiste una differenza fra l’essere complicato e l’essere complesso. L’articolo si concludeva auspicando che nell’educazione dei bambini ci fosse maggiore attenzione ai fenomeni complessi che caratterizzano questa epoca, perché se ci sfuggono rischiamo poi di non capire più nulla. Le prime pagine del libro infatti sono occupate proprio dalla distinzione fra complessità e complicazione: la complicazione è negativa in assoluto, perché tra l’altro rischia di nascondere le vere complessità in una nuvola di fumo, una cortina dietro la quale nessuno può più vedere; la complessità è un’altra cosa, è stratificazione, è quasi tettonica di eventi che si stratificano di generazione in generazione (adesso, direi, addirittura quasi di anno in anno, perché oramai il processo di trasformazione è sempre più veloce). La complessità comporta il fatto che noi dobbiamo avere una mente educata a sopportarne le conseguenze, cioè a non vedere invece il fenomeno con la lente dell’eccesso di semplificazione, che è il pericolo opposto a quello della complicazione. Ero molto imbarazzato all’idea di rispondere alla richiesta di Giovanni Peli perché questo è un tema filosofico e io non sono un filosofo: ne ha parlato Edgar Morin, che gli ha dedicato un intero libro, ma poi c’è tutto il filone della complessità nell’arte, che è estremamente ricco ed interessante ma fa sempre capo a ragionamenti filosofici. Per questo nicchiavo un po’, inizialmente: ma Peli mi ha detto che gli sarebbe piaciuto che partendo dal concetto di complessità poi lo declinassi sulla didattica della musica, che è anche campo mio, stemperandolo anche con esempi pratici. Insomma, messa in questi termini la questione era meno assillante e ho accettato. In realtà ho poi visto che il libro si è diviso equamente fra l’introduzione e la parte didattica. La prima parte “filosofica” contiene l’esplicazione di che cosa sia la complessità, che ho tentato di affrontare da tutti i punti di vista con tutto ciò che le gira intorno: il pregiudizio, per esempio, che altro non è se non la semplificazione della complessità di cui sono fatti gli esseri umani; ha un pregiudizio su una persona chi si rifiuta di capire come questa persona sia fatta, quale sia la sua complessità, di cui non capisce un accidente. Alla fine, l’invito della prima parte un po’ più filosofica è “cerchiamo di guardare dentro le complessità”, cerchiamo di non accontentarci mai. La prima cosa che per me è importante è essere sempre in una posizione problematica, senza credere di avere la verità in tasca sapendo già in anticipo “come vanno le cose”, ovvero tutta una serie di luoghi comuni che purtroppo stanno anche caratterizzando il rapporto con lo sgradito ospite che è il coronavirus. Dovremo rassegnarci, perché, se il mondo continuerà ad essere squadernato come ora è evidente che tutto verrà messo in discussione: più è complesso il mondo che ci circonda e più saranno complessi i rapporti che dovremo avere con questo mondo. Questa è secondo me la condizione fondamentale che apre la seconda parte di questo libricino, dedicata ai bambini, alle nuove generazioni. Il senso della complessità si sviluppa fin da piccoli: poi è sempre troppo tardi. La mia idea, alla fine di tutto il discorso filosofico, è che è fondamentale educare alla complessità: se non c’è una educazione precoce alla complessità, sicuramente le nuove generazioni non saranno in grado di sostenerla e sopportarla e la semplificazione diventerà sempre più il metodo critico con cui vedere le cose, fatto sbagliato filosoficamente, ma sbagliato anche dal punto di vista dei comportamenti quotidiani, perché fa solo danni.

G.: Del resto la musica, fermo restando quello che hai detto e che spieghi molto chiaramente (anzi, complimenti per la chiarezza), è di per sé complessa e tu lo sottolinei: basti pensare alla relazione che esiste fra il compositore e la musica – e già qui bisognerebbe soffermarsi sul processo creativo – , chi la esegue in voce o con uno strumento musicale e infine chi ne fruisce, ovvero l’uditore, il pubblico. In che modo la musica aiuta il processo di educazione alla complessità nei più piccoli?

A.G.: Effettivamente la materia non è semplice e mi ci sono “ingarbugliato” più di una volta, e poi ho cercato di “sgarbugliarmi”… C’è da fare una premessa: sono diversi decenni che ho a che fare con i bambini per questioni di didattica musicale: devo dire che uno dei più forti gridi di dolore che è capitato di sentire a me e a chi come me ha dedicato gran parte della sua vita alla didattica musicale e alla didattica dell’Arte in generale è stato per chiedere di mettere nelle scuole primarie l’educazione all’Arte; facciamo in modo che i bambini vivano i primi anni del loro apprendimento attraverso la creatività e l’Arte!

G.: Invece quelle artistiche sono materie non solo considerate marginali, ma addirittura accessorie…

A.G.: …E soprattutto sono lasciate alla buona volontà degli insegnanti che ne sanno qualcosa di più, ma sono ben lontane dall’essere codificate all’interno di un sistema scolastico. Se queste esigenze, che ormai non vengono dai singoli insegnanti ma dalla pedagogia stessa (e infatti sono stati scritti fiumi di parole sull’argomento), non vengono capite, che cosa vogliamo sia la scuola? Che l’apprendimento sia vissuto dai bambini in prima persona, e dunque anche la complessità dell’apprendimento sia vissuta e capita dai bambini, o vogliamo continuare a dar loro nozioni perché pensiamo che debbano saperne sempre di più e sempre prima, altrimenti arriveranno dopo nella corsa sfrenata all’essere primi? … Perché questo mondo quello è, purtroppo. Può sembrare una utopia, ma in realtà è un investimento nel futuro: l’Arte ha la caratteristica di essere complessa, ma la sua complessità la si vive attraverso la creatività e il mettersi in gioco continuamente; “mettersi in gioco” significa che di fronte alle cose ci si pone sempre in modo problematico e mai apodittico. E’ impossibile che la realtà venga affrontata attraverso luoghi comuni o il “sentito dire”: la realtà va sperimentata. L’Arte, metaforicamente, fa sempre sperimentare le proprie possibilità e quello che si è nei confronti degli altri: in particolare la musica, sperimentata non da soli ma nel gruppo, insieme agli altri; soprattutto, ci si rende conto di quanto si debbano stratificare gli eventi per ottenere un risultato. E’ in questa stratificazione la nascita di un pensiero complesso nel bambino: non bisogna mettersi in cattedra e parlare ai bambini del pensiero complesso, non è questo il modo giusto, ma bisogna far vivere la complessità con l’Arte; non la si può far vivere in nessun altro modo.

G.: Essendo estranea alla materia sono rimasta molto piacevolmente colpita dal fatto che nella seconda parte tu dia degli esercizi, dei “giochi per pensare” come tu li chiami, mettendo sul piatto qualcosa di apparentemente semplice come “Fra Martino campanaro” per arrivare addirittura a evocare nientemeno che John Cage e la questione dell’esistenza del silenzio assoluto. Mi sembra, questa sì, una cosa abbastanza “complessa”…

A.G.: Sì, ma bisogna vedere come la si vive. Il bambino, per esempio, attraverso un gioco si pone il problema del rapporto fra suono e silenzio, dell’importanza del silenzio e dello stare zitti ad ascoltare gli altri. In fondo, qual era la provocazione di Cage? Fare un pezzo tutto basato sul silenzio non per far restare in silenzio, ma per far sentire ciò che ci circonda e concentrarsi su quanto il mondo sia pieno di suoni che si perdono nell’affanno quotidiano: è un passo fondamentale. E’ il famoso gioco del silenzio – l’ho citato scherzosamente – che ci imponevano quando eravamo piccoli perché facevamo casino e, visto che in classe eravamo almeno in trenta, per il maestro quello era un momento di rinascita personale: però, a ricordarselo bene, quel gioco era in realtà il momento in cui ascoltavamo gli uccellini e sentivamo suoni che durante la lezione non si riuscivano a sentire. Sono piccole provocazioni che può fare davvero chiunque, anche chi non conosce la musica, per esempio cominciando ad approcciarsi a pezzi musicali che altrimenti non entrerebbero mai nella quotidianità delle persone. Se non lo fai da bambino, quando lo fai? Ho anche citato Umberto Eco, che scriveva che alla fine non si può evitare che ci sia violenza legata al pregiudizio se non si opera sin dalla più tenera infanzia, perché “dopo” è sempre troppo tardi. Quando la gente si combatte per questioni religiose è troppo tardi, non si riesce più a dividerla; invece si può preparare la nuova generazione a capire che anche la religione, i comportamenti umani in generale e le ideologie sono stratificazioni determinate da vari fenomeni che vanno messi in gioco cercando di capire; se non si fa lo sforzo di capire si finisce semplicemente in una condizione di avversità, di “o dentro, o fuori”, vita o morte, e poi è chiaro che nascono anche le guerre. E’ una semplificazione del vedere: sei diverso da me, ma non faccio nessuno sforzo per capire come sei fatto, come succede a proposito del fenomeno delle migrazioni di cui parlo nella prima parte. Se non si ragiona mettendosi quasi empaticamente dentro le motivazioni dell’altro, se non le si mette l’una sull’altra cercando di capire che tipo di comportamento ottiene quel tipo di situazione, è evidente che non si capirà mai e si concluderà col dire : “Per me è così: e basta”. …Eh, no, perché ognuno è portatore di una storia stratificata, è portatore di una sua complessità. Non parliamo poi dei rapporti col pianeta Terra, il massimo della semplificazione possibile: “Ho bisogno di mangiare, di fare i miei comodi, di avere la macchina: quindi, alla fine, che me ne frega della complessitàdel mondo? Il mondo mi deve servire”. Invece la capacità di riflettere su questi fenomeni significa anche la capacità di adattarsi meglio a questi stessi fenomeni e proprio nel senso piagetiano del termine: non la “assimilazione” del mondo (“Mangio il mondo perché serve a me”), ma il mondo che rispetto perché mi adatto a lui e alle sue caratteristiche. La complessità pretende un adattamento plurimo e continuo: è questo che purtroppo non abbiamo ancora capito, altrimenti il mondo non andrebbe nella direzione in cui sta andando.

G.: Caro Antonio, come si dice in questi casi, il tempo è più che volato e mi dispiace: ti ringrazio molto della tua presenza, ma prima di salutarti vorrei sapere se hai imparato a conoscere le stelle…

A.G.: … Un pochino, sì, ho tentato… ma ammetto di essere ancora un po’ ignorante, effettivamente…

G.: Bene: se volete sapere il motivo di questa domanda non dovete far altro che leggere (anche nelle note) “Educare alle complessità”, Lamantica Casa Editrice, del Maestro Antonio Giacometti.

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