“Choux. Eclair, Paris Brest, Bignè e Religious, dolci e salati”: chiacchierata con Luca Montersino

montersino ritrattoLuca Montersino “Choux. Eclair, Paris Brest, Bignè e Religious, dolci e salati”

(Italian GourmetDBInformation)

pag 330

30×30

€ 75,00

 

 

 

 

Luca Montersino “Choux. Eclair, Paris Brest, Bignè e Religious, dolci e salati”

Ero annoiata: serata fiacca, di quelle in cui mi scocciava leggere, ascoltare musica, perfino parlare. Rimaneva solo la tivvù, ma anche lì calma piatta: ad un certo punto, però, mentre girellavo a caso fra i vari canali l’attenzione mi è caduta su uno chef, che con voce gentile e grande semplicità preparava una crema pasticcera… SENZA MESCOLARE!

Chi si sia cimentato con questa ricetta solo apparentemente bonaria ben conosce la battaglia, spesso impari, che si deve sostenere durante la sua realizzazione, mescolando continuamente, con regolarità e senza distrarsi, per impedire la formazione di grumi e trovare il giusto punto di cottura: potrà dunque ben capire il mio stupore vedendo questo (per me) sconosciuto Maestro Pasticcere buttare l’uovo montato con lo zucchero nel pentolino dove latte e panna erano quasi a bollore, mescolare pochi secondi e… voilà! mostrare alla telecamera una pasticcera fumante, setosa, morbida, voluttuosa.

Come Mary Poppins, quella crema non mescolata era “praticamente perfetta sotto ogni aspetto”.

Sul web si può ancora trovare quella magia: digitate “crema pasticcera di Luca Montersino” (sì, era proprio lui!) e capirete come mai da quella sera non ho più perso nemmeno una trasmissione di quel fantastico pasticcere.

Mentre, lentamente ma inesorabilmente, la mia cucina si riempiva di leccapentole e coppapasta, spatole e spatoline, planetarie e stampi di silicone e, con mia immensa soddisfazione, non solo riuscivo a fare la crema pasticcera senza mescolarla, ma iniziavo a capire che cosa fosse una chibouste, che cosa una chantilly e realizzavo casette di Natale di pan di zenzero, Luca Montersino è diventato il mio mito: mio e di migliaia e migliaia di altri appassionati, come me irresistibilmente attratti dal suo talento, dal suo garbo, dalla sua solarità.

Col tempo ho anche imparato alcune cose su di lui: per esempio che aveva deciso di percorrere la via dei fornelli ancora bambino. In tempi non sospetti, infatti, Luca (classe 1973) voleva assolutamente diventare Chef, anzi Maestro Pasticcere, anzi Chef e Maestro Pasticcere. A tredici anni già decorava magnificamente il panettone per la famiglia, a quindici, ignorando i suggerimenti dei professori delle Medie che lo spronavano agli studi classici, si iscriveva all’Istituto Alberghiero e…via con lo studio tenace, il lavoro duro, la voglia e l’entusiasmo di fare e sperimentare quello che lo appassionava! Già a soli ventidue anni Luca Montersino era a capo di una équipe di sei chef, a ventitrè volava in California per guidare la cucina di un ristorante italiano, a ventotto veniva nominato prima vicedirettore e poi direttore dell’Istituto Superiore Arti Culinarie Etoile, nel 2005 fondava il marchio di pasticceria salutistica “Golosi di salute” e apriva la pasticceria omonima nel centro di Alba. A breve le trasmissioni televisive lo avrebbero fatto conoscere al grande pubblico, mentre si moltiplicavano i successi, la fama, i riconoscimenti e gli ottimi risultati imprenditoriali. E arriviamo all’oggi: sempre richiestoper corsi professionali, in tutta Italia e non solo, presente nei principali programmi specializzati, attivo nella sperimentazione di nuove e rivoluzionarie ricette, il Nostro da tre anni ha anche creato la scuola per chef e pasticceri “ICook”, mentre i suoi libri di pasticceria e cucina sono sempre di più un importante riferimento per dilettanti e professionisti, specie per la pasticceria salutistica dolce e salata, sua geniale invenzione.

Insomma, Luca Montersino è definitivamente un “pastry-star”.

Eppure non si è mai montato la testa, nemmeno un pochino, né siede sui suoi allori. Instancabile e appassionato come lo era da ragazzino, se andate nella sua pasticceria di Alba è possibile che lo troviate lì anche se è domenica, perché Luca Montersino continua ancora oggi a coltivare la sua Arte: per questo, non a caso, si può decisamente definire  un “libro d’arte” il suo nuovissimo “Choux. Eclair, Paris Brest, Bignè e Religious, dolci e salati” (Italian GourmetDBInformation), che raccoglie settanta ricette in cui il Maestro Montersino rielabora nella versione salata e in quella dolce un grande classico, la pâte a choux.

L’impegnativo prezzo di settantacinque euro è motivato anche dal pregio dell’oggetto-libro, impreziosito dalle belle immagini del fotografo Roberto Sammartini.

Parlare con Luca Montersino è sempre per me un grande piacere, del quale ancora una volta lo ringrazio.

Ecco l’intervista a Luca Montersino, il cui sonoro integrale trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina

Canzone consigliata: “Aint Too Proud To Beg”, The Temptations

(Chi ha visto “Il Grande freddo” di Lawrence Kasdam  ha capito il perché di questa scelta: altrimenti questa è l’occasione giusta anche per recuperare questo grande film!)

 

Giancarla: Stiamo per parlare di un libro veramente straordinario: non che gli altri non lo fossero, ma qui siamo davanti ad un volume fantastico. Sono quattordici, mi pare, i libri che ha pubblicato fino ad oggi.

Luca Montersino: Guardi, ho quasi perso il conto: un giorno l’altro bisognerà contarli! No, questo deve essere addirittura il sedicesimo: negli anni mi sono dedicato tantissimo a fare libri e continuerò a farlo, perché mi piace veramente tanto poter scrivere e fissare nel tempo il mio lavoro di ricerca sulla pasticceria e sulla cucina.

G.: … E il suo lavoro di ricerca ci porta, in questo caso, a trovare la rivisitazione, la riscoperta della pâte a choux:  ma che cos’è la pâte a choux e, soprattutto, come si fa a trovare settanta varianti di un classico?

L.M.: E’ molto facile, perché la pâte a choux non è altro che un contenitore e in un contenitore è facile trovare settanta varianti: lo si può riempire con creme dolci o salate e con le centinaia di composti che vengono in mente. Poiché la pâte a choux  cuocendo si svuota al suo interno, qualunque sia la sua forma (bigné, éclair– che è un bignè allungato-, la réligeuse– che è un bigné sull’altro-, o il Paris Brest– che è un bigné rotondo a ciambella), nel momento in cui ho davanti uno choux, lo apro, penso a che cosa metterci dentro e sto già fantasticando sul prossimo. Mi sono dovuto fermare, perché l’Editore mi ha dato un limite: “Più di settanta ricette non ne possiamo pubblicare!”

G.: Lei la fa facile, ma non è così né tecnicamente, né dal punto di vista della creatività! Però mi vorrei soffermare sul volume, che è bellissimo non solo per i contenuti, come vedranno i lettori, ma anche per la “forma”: anche con gli altri sui libri era così, ma in questo caso in particolare mi sembra che il corredo fotografico sia fantastico e bisogna darne merito al fotografo Roberto Sammartini. Lei partecipa anche a questa fase del libro e, se sì, in che modo?

L.M.: Assolutamente sì, partecipo, eccome! Ma intanto la ringrazio, perché colgo l’occasione per ringraziare anche l’Editore che ha scelto di fare un libro così importante: un libro “importante” non è fatto solo dallo chef, ma è fatto dalla redazione, dal fotografo, dal grafico e anche dallo stampatore, che sceglie di stamparlo su una carta importante. Insomma, un bel libro è frutto di un lavoro di squadra e sono molto contento perché non sempre gli Editori sono propensi a farlo e il più delle volte si tende al risparmio; del resto, è venuto un libro di un certo prezzo anche perché è un oggetto veramente importante. Il fotografo Sammartini è un mio carissimo amico: abbiamo fatto quindici, sedici libri insieme e dopo tanti anni che lavoriamo insieme siamo molto amici e praticamente collaboriamo: io arrivo sul set e appoggio il mio “fagotto” – in questo caso il bigné – e gli dico “Robi, io lo fotograferei da questo lato”; lui aggiusta le luci e scatta, io guardo e magari gli dico “Robi, questa foto mi fa schifo!”. E lo stesso lui: gli porto un prodotto, lui lo guarda e mi dice: “Ma sei proprio convinto che dobbiamo fotografarlo?” “Perché, non ti piace?” “Mah, boh, non mi convince…”. Insomma: abbiamo un rapporto molto diretto e collaboriamo moltissimo, al punto che io negli anni ho imparato a fotografare e lui a cucinare!… Del resto, stando l’uno accanto all’altro da molto tempo…!

G.: …Poi, però, ve li mangiate i piatti che non devono essere fotografati!

L.M.: …Non me lo ricordi, Giancarla, perché anche se adesso non abbiamo la prova costume da fare… eh sì, purtroppo li mangiamo anche!

G.: Mestro, lei è famoso in particolare per la sua pasticceria “salutistica”: nella prefazione al volume, lei fa una distinzione importante fra “salutistica” e “dietetica”. Vuole spiegare anche a noi?

L.M.: “Salutistico” è un concetto molto più ampio di “dietetico”. L’olio extravergine, per esempio, non è dietetico, è un grasso (anzi, ha più calorie del burro), però poter mangiare ogni tanto un prodotto dolciario senza farlo col burro o, peggio ancora, con margarina o grassi di bassa qualità, già significa “variare l’alimentazione”: “variare” vuol dire fare del bene al proprio corpo. Ma questo (concetto) non va a braccetto con “dietetico” nel senso di “dimagrante”, o “low calories”, o tutte queste cose che vanno di moda e le ragazzine ci stanno attente: io cerco di fare una pasticceria naturale, ricca di cereali alternativi, con ingredienti alternativi, che non abbia solo lo zucchero bianco, ma quello di canna …Ecco, lo zucchero di canna è come l’olio: ha le calorie, non è “dietetico”, ma è un prodotto integrale ricco di sali minerali e di vitamine. Una pasticceria meno raffinata, meno sbiancata.

G.: Ho una curiosità (lei ne parla anche in riferimento alla sua scelta di sviluppare un libro con le varianti dedicate ad un classico come la pâte a choux), e mi riferisco alla “moda”: ultimamente è anche un po’ di moda la diffusione della dieta vegana. Come si sposa  con la pasticceria, dolce o salata, e alla sua, in particolare? Mi pare ci siano dei punti di contatto, no?

L.M.: Sì, ci sono dei punti di contatto. Parentesi: Giancarla, quando mi fa la prossima intervista? E’ una delle poche giornaliste con cui mi trovo veramente bene, mi fa domande bellissime! Bon: chiusa la parentesi!

G.: Beh, …grazie!

L.M.: Comunque sì, c’è sicuramente un punto di contatto, anche se io – e l’argomento è un po’ difficile da trattare – non sono mai per le cose estreme. Vedo la pasticceria vegana (non dico la cucina vegana, mi sto riferendo alla pasticceria) un po’ estrema. Fare cucina vegana è un po’ più facile, perchè abbiamo verdure e cereali; fare una pasticceria vegana vuol dire eliminare anche le uova e altre cose che sono davvero difficili da eliminare in una pasticceria che sia buona e bella. Io voglio fare il pasticcere e voglio fare una pasticceria buona e bella: quando si eliminano le uova nei dolci purtroppo è una gran tragedia, perché l’uovo è un ingrediente “magico” che la natura ci fornisce, ha una valanga di caratteristiche tecniche fondamentali per i dolci. Se devo forzare la mano per fare a tutti i costi un dolce che poi non è né buono, né bello, preferisco non farlo. Detto questo, cerco comunque di accontentare anche questo tipo di pubblico. Preferirei che non fossero così estremi: io non contesto le scelte di un vegano, ma non accetto che un vegano additi uno che non lo è. Pensi che proprio di recente ho vissuto brutti episodi: hanno mandato presso la mia scuola una lettera senza francobollo né firma, dicendo che sono un cuoco “malefico” perché cucino la carne… Si immagini…E’ un po’ brutta questa cosa, no? Alla fine io cerco comunque di accontentare il pubblico e creare qualcosa di vegano, sebbene, ripeto, nel mondo dei dolci non è così facile: allora, più che vegano cerco di andare sul vegetariano, magari sostituendo, che ne so?, i latticini o la colla di pesce, che è ricavata dagli animali. Col vegetariano è un po’ più facile, col vegano è più difficile.

G.: Però è una bella sfida per un creativo come lei, che fin da ragazzino sperimentava. In preparazione di questo incontro sono andata a rivedermi la sua biografia: mi ero scordata che lei, a quindici anni, dopo avere affrontato da solo la sala del ristorante di un hotel e guadagnato dei soldi, torna a casa, smonta la cantina dei suoi, impianta una cucina e comincia a sperimentare. Questa voglia di sperimentare e di “giocare” è forse la sua arma vincente?

L.M.: Sì, sì: infatti continuo a farlo e continuerò a farlo, anche perché ormai mi capita a tutti gli incontri che mi chiedano se faccio qualche dolce vegano. Io non rispondo che “non lo faccio e non lo farò mai”; rispondo “Al momento, non tanto”, perché se faccio una cosa, io voglio farla bene. Quindi sto continuando la mia ricerca sulla pasticceria vegana, ma non sono ancora così pronto da poter dire: “Giancarla, assaggi questa torta vegana e mi dirà che è stupenda!”; lei assaggia la mia torta vegana e invece mi dice: “Mmh, sì…Però forse quella “normale” era più buona”. Ecco, io questo non lo voglio: quindi ci sto lavorando e ci lavorerò ancora, ma al momento non sono pronto. Però la sperimentazione, come lei giustamente ha detto, fa parte di me e mi piace: anzi, mi stimola molto.

G.: Io, approfittando della sua disponibilità, anche negli scorsi incontri ho fatto domande (…come dire?) a vantaggio mio personale. Ne approfitto ancora. Chi si cimenta con la cucina o la pasticceria, noi persone normali intendo, si scontra con la Legge di Murphy, per cui se uno ha un piatto che riesce e lo vuole fare quando ha amici, può stare abbastanza certo che quella volta non gli riuscirà. Allora le chiedo: quali sono gli errori più diffusi, in particolare quando ci si avvicina ad un argomento delicato come la pasticceria? Qual è il difetto maggiore del dilettante?

L.M.: Purtroppo in pasticceria bisogna essere molto precisi, ma in quella domestica si rifiuta la bilancia, pesare gli ingredienti. Se si fa pasticceria di qualità, fatta bene, bisogna pesare tutto, comprese, ad esempio, le uova; e poi bisogna misurare la temperatura di tutto. Ci si preoccupa della temperatura del forno, ma mai di quella di una crema sul fornello: invece in pasticceria i termometri vanno usati tanto, sia nel forno che sul fornello. E anche la bilancia va usata tanto, sia per gli ingredienti che tutti sono abituati a pesare, come lo zucchero e la farina (anche se c’è ancora qualcuno che va a cucchiaiate: beh, questo proprio non va bene, perchè il cucchiaio può essere colmo o mezzo pieno e così ti cambia la ricetta), sia per pesare anche ingredienti come le uova o l’acqua, che di solito non si pesano e ci si va a occhio, o, peggio ancora, a numero. Ma ci sono uova da quaranta grammi e uova da sessanta: andare a numero in una ricetta dove ci sono dieci uova vuol dire sbagliare di duecento grammi! L’altra cosa che consiglio di fare quando si vuol fare un dolce è preparare tutti gli ingredienti prima, metterseli davanti sul tavolo da lavoro, analizzarli tutti e partire con la ricetta solo quando si è tutto pesato, perché un’altra delle cose che a casa succede è iniziare a fare un dolce e poi, a metà ricetta, accorgersi che manca un ingrediente. Allora cosa fai? Rimedi con qualche altro ingrediente: un professionista ci riesce abbastanza bene perché conosce le regole chimico-fisiche della pasticceria, ma uno che sta eseguendo la ricetta di un altro alla fine fa un disastro. Se invece si preparano prima tutti gli ingredienti e manca un ingrediente, si va a comprarlo prima di iniziare. Tante ricette non sopportano l’attesa, perché si smonta il composto o si rovina l’impasto.

G.: Un’ultima domanda: noi conosciamo e conoscevamo bene “Golosi di salute”, ma che cosa è “ICook”?

L.M.: E’ la mia scuola di cucina e pasticceria nata tre anni fa; è un’Accademia, dove insegniamo a diventare pasticceri ai ragazzi ma non solo a loro: anche alle persone un po’ più adulte, perché abbiamo tanti allievi che vogliono cambiare lavoro e vita. Il percorso accademico dura tre mesi, con formatori fra i più importanti a livello nazionale fra cui ci sono anche io, ma non solo, perché nella mia scuola ho scelto di non monopolizzare la formazione, quindi mi avvalgo anche di colleghi di grande professionalità. Finiti i tre mesi, gli allievi hanno tre mesi di stage nelle migliori pasticcerie italiane e nei migliori ristoranti (perché, come dicevo, le accademie sono due: una di pasticceria e l’altra di cucina)

G.: E questa è la cosa, lei lo sa, che fra le altre apprezzo di lei: il piacere di condividere le proprie conoscenze e, magari, consentire anche ad altri, ai più giovani, di trovare la propria strada nella vita. Maestro, la ringrazio tantissimo: adesso vado a studiare, perché questo libro è veramente impegnativo!

L.M.: Grazie, Giancarla: è sempre un piacere.

 

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