“Vendemmia in Franciacorta”: chiacchierata con Adriano Baffelli

baffelli ritratton

“Vendemmia in Franciacorta – un romanzo sociale”, Adriano Baffelli

(ELS LA SCUOLA)

pagg 220

€17,00

 

 

 

Luigi Colli ha circa cinquant’anni. E’ un manager preparato, coraggioso, onesto, di successo: e disoccupato. Dall’oggi al domani. E’ come stordito, attonito. Nella sua testa si frantumano pensieri alla ricerca affannosa di un “perché”: anzi, di molti “perché”. Perché, nel nostro Paese, per garantirsi una onorevole occupazione non basta essere un serio lavoratore, ma pare sia necessario asservirsi ai potenti, ungere i giusti ingranaggi, avere appoggi strategici e infinito pelo sullo stomaco? Perché, dopo avere già subito il doloroso trauma della perdita del lavoro, chi lo vive viene recluso nell’umiliante girone dei “Ti chiamo io”; “Ti faremo sapere”; “Non mi hanno ancora dato una risposta”; “Non è da me che dipende il tuo lavoro: fosse per me, ti farei lavorare, ma… “, e via con altre mille scuse tanto stupide, quanto offensive e disoneste? Perché a colui o colei cui è stato ingiustamente tolto il lavoro, poiché cerca ovviamente di riconquistarlo bussando discretamente alle porte di chi potrebbe darlo, si attribuisce senza mezzi termini l’etichetta di scocciatore? Perché, soprattutto, a chi perde lavoro senza una colpa non solo si nega aiuto, ma anche il rispetto? E perché l’esperienza e la competenza professionali, invece di favorire chi le possiede, sembrano diventati un penalizzante “ingombro”? E se si rimane senza lavoro a cinquant’anni, che resta da fare? Arrendersi? E come si può “campare” senza uno stipendio? Insistere? E come, se si imbocca la via crucis dei “Il direttore è fuori stanza”, delle telefonate e delle e-mail che rimangono senza risposta, a sottolineare brutalmente che tu non esisti, che non sei nessuno, che i “capi”, che pure hanno in mano il tuo futuro, non possono perdere il loro preziosissimo tempo dietro al tuo problema perché sei un perdente e quindi non conti nulla? Oppure bisogna sentirsi fortunati perché ci si può aggrappare all’ennesimo sottopagato lavoro a tempo determinatissimo, affannandosi nel frattempo nella ricerca della successiva e altrettanto precaria occupazione? E che differenza c’è tra “flessibilità” e “precarietà obbligatoria”?

Questo e altro pensa Luigi Colli, manager cinquantenne che nel 2011, a seguito dell’inattesa chiusura dell’azienda che dirige con capacità ed entusiasmo, improvvisamente si ritrova con una sessantina di altre persone senza lavoro: senza lavoro e alla ricerca di una nuova identità.

Luigi Colli è il protagonista del romanzo di Adriano Baffelli “Vendemmia in Franciacorta (ELS La Scuola): l’Autore utilizza la sua storia emblematica per parlare del lavoro, vero protagonista dell’opera; o, meglio, del “lavoro che non c’è”, che si squaglia come neve al sole e la cui gratuita sottrazione lascia stordito chi la subisce. Luigi Colli è emblematico non perché sia un manager di successo (qualcuno potrebbe obiettare che il lavoro manca anche a chi, negli anni, ha probabilmente guadagnato assai meno di lui e ora si trova in una condizione anche peggiore, se possibile), ma proprio perchè, essendo un uomo di esperienza, cultura e specchiata onestà, il suo licenziamento sta a significare che nessuno, essendo solo onesto, capace e fuori dai giri giusti può sentirsi al sicuro (non più, almeno).

Restato senza lavoro, umiliato dalle altrui ipocrisie, senza che nessuno gli fornisca spiegazioni utili per capire la causa della sua disoccupazione, Luigi Colli, che pure combatte e si dibatte, va in crisi anche come uomo e come marito: ma, si diceva, Vendemmia in Franciacorta” non racconta tanto la vicenda di un solo uomo, quanto quella di una società in cui la crisi economica è soprattutto una crisi morale. La bellezza della Franciacorta, la solidità di alcuni imprenditori coraggiosi e illuminati, la stima personale e disinteressata di un vecchio amico possono aiutare il protagonista a visualizzare un futuro più appagante: ma fate attenzione al finale del libro…

L’AUTORE

Adriano Baffelli è titolare di una agenzia di comunicazione, giornalista, direttore di prestigiose realtà associative del Made in Italy, nonché appassionato della Franciacorta e delle sue ricchezze eno-gastronomiche e culturali (fatte conoscere a livello nazionale e internazionale anche in qualità di Presidente della Fondazione Franciacorta). Dopo numerose pubblicazioni su tematiche locali, debutta nella narrativa con “Vendemmia in Franciacorta” (ELS LA SCUOLA).

Ecco l’intervista ad Adriano Baffelli, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.

Canzone consigliata (in questo caso dall’Autore): “Harvest”, Neil Young.

 

Giancarla: Come ci siamo detti prima di questa intervista, tuo libro è tante cose, ma soprattutto…

Adriano Baffelli: “Vendemmia in Franciacorta” è un libro dedicato al lavoro, in particolare a quello che drammaticamente in questi anni manca rispetto a quello che invece c’era in passato, magari nella grande fabbrica, come dimensione collettiva, come tensione morale, che molti di quelli della mia generazione hanno vissuto. Con questo non voglio assolutamente dire, come mi capita spesso di sentire, che quelli della mia generazione erano bravi e i ragazzi di oggi non valgono nulla: è una affermazione da respingere in toto, perché la verità è che i giovani oggi non sono messi nella condizione di “amare” il lavoro; semmai, se questo accade, dobbiamo recitare un mea culpa e dar loro gli strumenti perché il lavoro torni al centro dell’attenzione come valore culturale e morale, motivo di una vita piena di soddisfazioni.

G.: Avresti potuto scrivere su questo argomento uno o più saggi: perché invece hai scelto la forma del romanzo?

A.B.: Ci ho pensato, non lo nego, ma pubblicare un saggio mi sarebbe sembrato un po’ da irresponsabile: se già è difficile pubblicare un romanzo, infatti, trovare chi pubblichi un saggio lo è molto di più… e poi non credo di averne tutte le competenze; invece il romanzo, pur, come questo, non essendo “leggero”, dà anche la possibilità di un collegamento con un brano musicale o un riferimento letterario e dunque la sua lettura risulta più scorrevole.

G.: Si parla tanto, e giustamente, del problema della disoccupazione giovanile: perché allora tu hai scelto come protagonista non un trentenne, ma un cinquantenne?

A.B.: Proprio per evidenziare che il problema della mancanza di lavoro investe i giovani, ma non solo loro. Dei giovani si parla quando escono le statistiche relative salvo poi, a cominciare dalla politica, non fare nulla per risolvere il problema: ma oggi la problematica legata alla mancanza di lavoro investe tutte le fasce di età, investe le donne (particolarmente penalizzate, in Italia) e impatta soprattutto sugli over-cinquanta , che di colpo sono diventati “un peso”; la loro esperienza personale che, metaforicamente parlando, portavano con orgoglio in un proprio “zaino di vita”, oggi è diventata zavorra. Storie come quella che racconto si ripetono frequentemente: sono molte le testimonianze di persone che perdono il lavoro attorno ai cinquant’anni e sono quasi sempre destinate a non trovarlo più. Oltretutto, siamo in una fase in cui, grazie a scelte politiche su cui non mi esprimo, chi già lavora da molto tempo si trova costretto a lavorare per altri lunghi anni prima di andare in pensione: peccato che però spesso non vengano loro offerte le possibilità di coprire questi altri anni di lavoro.

G.: Comunque c’è il problema generale della precarietà, che dovrebbe essere provvisoria e invece, in una situazione che più che un ossimoro sembra un vero e più che crudele paradosso, è definitiva. Il nostro protagonista ha un’età emblematica: in fin dei conti, Luigi Colli rappresenta la sua generazione, quella dei nati negli anni del baby-boom, che forse ha causato certe storture di oggi; la sua è la generazione che aveva davanti a sé moltissime possibilità, per cui il futuro non era – come invece dice Enrico Ruggeri in una sua canzone – “un’ipotesi”, ma una certezza di miglioramento; una generazione che si è qualificata culturalmente e professionalmente e oggi, proprio in virtù di questa qualificazione, deve chiedere “per favore” di lavorare e, quando trova lavoro, in cambio riceve precarietà. Ma insomma: questa generazione “se l’è meritata”?

A.B.: La tua analisi è pressoché perfetta: consentimi solo di dissentire sull’attribuire la colpa a quella generazione. Non mi piace giocare a individuare colpevoli, che sono sempre molti, ma sicuramente le responsabilità maggiori, in termini di politiche e scelte economiche e macro-sociali, sono della generazione precedente a quella dei baby-boomers: il fardello del debito pubblico, che oggi nel nostro Paese impedisce ogni manovra autonoma a qualsiasi governo, di qualsiasi colore esso sia, è figlio della politica dissennata del dare tutto a tutti per renderli felici e contenti, purché votanti. Questa è una colpa che la mia generazione ha ereditato: anzi, proprio i baby-boomers, che più di altri avevano un mondo di possibilità, che si sono impegnati, che hanno lavorato iniziando spesso da giovanissimi, oggi si trovano davanti mille porte sbarrate. E sono uniti ai giovani nella precarietà che, si badi bene, è cosa ben diversa dalla flessibilità, che, se applicata in maniera intelligente, favorisce il lavoro e il contenimento dei costi. Oggi esiste la precarietà bella e buona che, dici bene tu, diventa sostanzialmente inattività spesso definitiva, senza ancore di salvezza. La storia di Luigi Colli è anche la storia di questa precarietà, che fa sì che anche i migliori (o, forse, soprattutto i migliori) risultino fastidiosi e ingombranti rispetto al sistema, e tagliati fuori.

G.: E poi nel libro arriva la Franciacorta, cui dedichi pagine piene di passione, così piene che si intuisce il tuo desiderio di contenerla per non strafare. La Franciacorta è terra di imprenditori esemplari, che si sono “inventati” un lavoro, oltre che un luogo dove è molto bello soggiornare: il nostro protagonista ci finisce quasi per caso e qui capisce che la sua vita è a un punto nodale e che, paradossalmente, deve tornare indietro abbandonando il terziario puro e “sporcandosi le mani di terra”, sia pure nell’ambito delle sue competenze. Se posso chiedertelo, che cosa c’è del tuo vissuto in questo voler raccontare una grande opportunità imprenditoriale?

A.B.: Di mio c’è il profondo amore per un territorio che ha saputo creare pagine nuove a livello mondiale, perché in non esiste alcun altro territorio viti-vinicolo che abbia espresso tanta eccellenza in un tempo così contenuto come ha fatto la Franciacorta. A un certo punto mi sembrava di scrivere in automatico, guidato da una forza interiore che ha fatto sì che il racconto della ricerca di lavoro di Luigi Colli, emblema dei tantissimi “Luigi” che oggi sono alla ricerca di una occupazione, si immergesse nel mare verde della Franciacorta per raccontare, attraverso le chiavi del lavoro e della realizzazione di un grande fenomeno viti-vinicolo (che poggia su valori colturali, storici e ambientali ma, soprattutto, sulla capacità dell’Uomo di immaginare quello che non c’era e lavorare con grande e brescianissima determinazione per realizzarlo) anche un mondo che secondo me è solo all’inizio della sua epopea, se avrà il contributo di tutti e se si apriranno alcune torri d’avorio: questo non è più il tempo di splendidi isolamenti, ma è quello di lavorare insieme.

G.: Nelle tue pagine c’è anche spazio per due miei grandi amori: la musica e la radio. E in queste stesse pagine ci sei sicuramente tu, perché (vogliamo rivelarlo) come me fai parte di quei ragazzi che hanno avuto la grande gioia e la straordinaria opportunità di vivere i primi tempi della radiofonia privata in Italia. I ragazzi di quegli anni, rispetto ai loro coetanei di oggi, sono stati più fortunati, o più accorti?

A.B.: Diciamo che si può essere fortunati e accorti in modi diversi e in tempi diversi: noi abbiamo fatto, come tanti che ci hanno preceduto, “di necessità, virtù”; sicuramente la nostra generazione lo ha fatto un po’ di più, perché i mezzi erano inferiori rispetto ad oggi e, come dicevo, ci ponevamo obiettivi ambiziosi ma raggiungibili. Bisogna riconoscere che i ragazzi oggi non hanno le stesse possibilità: … almeno apparentemente, perché deve essere chiaro che anche per loro non c’è nessuna partita chiusa. Non lo dico per una sorta di ottimismo di maniera, ma in base alla convinzione che la vita riserva sempre tante sorprese, anche positive: ci si deve impegnare ovunque e comunque e, se lo faranno, anche i ragazzi di oggi avranno un grande futuro. Si tratta di giocare le proprie carte in maniera diversa: se una volta si cercava il lavoro vicino casa, oggi bisogna trasferirsi anche molto lontano. L’importante è non fermarsi mai.

About Giancarla Paladini

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