“Paul is dead? Il caso del doppio Beatle”: chiacchierata con Glauco Cartocci

Glauco Cartocci “Paul is dead?- Il caso del Doppio Beatle”,

Edizioni Robin

Pag 395

€ 16,00

A volte i conti non tornano.

Per esempio: quanti sono “I Tre Moschettieri”? Quattro, come ben sappiamo: Athos, Porthos, Aramis e D’Artagnan.

E quanti i “Fab Four”? Cinque, secondo qualcuno: John Lennon, George Harrison, Ringo Starr, Paul McCartney e…Paul McCartney (again: con buona pace del tenero Pete Best).

Infatti, da quasi cinquant’anni aleggia sul mondo beatlesiano una leggenda che per molti è realtà: un mistero fittissimo, per qualcuno, una burla geniale e colossale, per altri.

In estrema sintesi, Paul McCartney sarebbe morto in un incidente stradale alle cinque del mattino del 9 novembre 1966, mentre era alla guida della sua fiammante, superaccessoriata e velocissima Aston Martin DB5. In quel momento i Beatles erano all’apice del successo, idolatrati dai giovani di tutto il pianeta e al centro di una vera e propria rivoluzione nella musica, nel costume e persino nella cultura occidentali.

“Ma ora che Paul è morto, che succederà?” si sarebbero chiesti i Beatles (e, soprattutto, il loro manager Brian Epstein): disordini sociali? Suicidi di massa dei fans adoranti? Fine di un business multi-multi-multi miliardario (in sterline degli anni ‘60)? Alla fine, gli interessati sarebbero arrivati alla conclusione che il dramma dovesse essere taciuto a tutti.

Sostituire Paul? Impresa titanica: ma c’erano nel mondo molti concorsi di sosia di questo o quel Beatle e qualcuno di somigliantissimo a Paul lo si sarebbe trovato e “aggiustato” con l’aiuto della chirurgia estetica: e poi sarebbe stato necessario che il sosia fosse perfetto anche vocalmente, e non solo.

Bisognava guadagnare tempo e dunque la prima cosa da fare era sospendere i concerti dei Beatles e le loro apparizioni in pubblico fino a quando “F-aul”, “fake Paul”, il falso Paul, non fosse stato in grado di reggere il confronto con quello vero. Ma ecco che, tre anni dopo, in una telefonata ad un dj americano, qualcuno avrebbe parlato della morte di Paul e del “complotto” per nascondere la notizia. Era il 1969: smentite ufficiali, silenzi o, al contrario, indizi a cascata, da lì in avanti avrebbero preso la stura; è per questo che a quell’anno e a quella telefonata si fa risalire la nascita del P.I.D., acronimo di Paul Is Dead, ovvero del “caso del doppio Beatle”.

E proprio “Paul is dead? – Il caso del Doppio Beatle” si intitola il saggio dedicato all’argomento da Glauco Cartocci e pubblicato dalle Edizioni Robin, imperdibile sia che crediate alla “morte” di Paul, sia che consideriate il tutto una “bufala”.

Uscito nel 2005, il libro ha avuto un grande successo anche perché ricostruisce la questione con una infinita serie di particolari che permettono pure ai meno informati di farsene una idea: va reso onore al fatto che l’Autore non intende condizionare il lettore né nell’un senso, né nell’altro.

Di ristampa in ristampa-siamo arrivati alla settima-, il saggio si è arricchito di nuovi dettagli e indizi pro e contro, anche grazie alla collaborazione di molti “beatlesiani”, ovviamente interessati all’ argomento (e se leggete fra i ringraziamenti potrete imbattervi in qualche nome di vostra conoscenza…). Anzi: se volete intervenire direttamente nella questione, vi segnalo anche il gruppo facebook Il Club di Glauco Cartocci.

E i Beatles? Che dicevano della faccenda? Beh, anche senza vedere fantasmi dove non ci sono, è indubbio che nei loro dischi successivi a quel fatidico 1966 ci sono molti particolari che, secondo i fautori del “complotto”, sarebbero “chiari indizi” che porterebbero alla conclusione che Paul sarebbe morto e sarebbe stato sostituito da tali William Campbell o William Shepard/Shepherd. Lo stesso Paul avrebbe continuato a intorbidire le acque nei suoi dischi e video successivi, disseminandoli di frasi e titoli equivocabili. E oggi anche la scienza medica sembra avanzare qualche dubbio…

Dunque, davanti a che cosa ci troviamo? Un gioco orchestrato per beffare i creduloni? Una manovra geniale ideata per coprire, inquinandola, la terribile verità? Una trovata pubblicitaria sfuggita di mano ai suoi ideatori? Una accattivante e innocua leggenda metropolitana? Il frutto della mente paranoica dei soliti complottisti?

… E se, fra la linea di pensiero che crede nella morte di Paul e l’altra che la nega, si insinuassero anche una terza, quarta, quinta variabile, e altre ancora?

Comunque la si pensi, la storia è appassionante, come la lettura del libro di Glauco Cartocci ripubblicato in queste settimane sempre dalle Edizioni Robin.

Ecco l’intervista a Glauco Cartocci, il cui sonoro integrale potete ascoltare in alto, nella sezione audio di questa pagina.

Canzone consigliata: per i più filologicamente corretti, “She’s leaving home” o “A day in the life” oppure… quella che volete, P.I.D. o non P.I.D. Con i Beatles, veri o falsi che siano, non si sbaglia mai

 

Giancarla: Dopo un po’ di tempo, ritrovo con molto piacere Glauco Cartocci, che avevo incontrato qualche anno fa, e cioè nel momento in cui era riesploso, grazie proprio al suo lavoro, “il caso del doppio Beatle”. Dal momento che oggi ci troviamo per le mani un’edizione arricchita di questo tuo libro, potresti sintetizzare, se possibile, che cosa si intenda per “caso del doppio Beatle”?

Glauco Cartocci: (Il libro) E’ il riepilogo “totale” (“totale” va tra virgolette, perché questa storia è talmente ramificata che un riepilogo totale penso sia quasi impossibile: diciamo che qui lo si fa al 99%) della famosa leggenda, che io preferisco chiamare mistero, della cosiddetta “morte di Paul McCartney”, che sarebbe avvenuta nel 1966 ma è esplosa nel ’69 a livello mondiale, con la spasmodica ricerca di indizi e di riferimenti anche nei dischi stessi dei Beatles. Per farla breve, si sosteneva che Paul McCartney fosse rimasto vittima di un incidente stradale e quindi fosse stato sostituito, in gran segreto, da un sosia. Questo per “farla all’osso”, però il mio è un libro di quattrocento e passa pagine perchè la storia è molto complessa e ramificata. Da un certo punto in poi, nelle mie riedizioni- questa sarebbe la settima, ma nel 2011 è uscita una edizione che io definisco “rimasterizzata” perché il libro è stato concepito daccapo- c’è stata l’aggiunta di due sezioni molto importanti: una ricerca, fatta dal mio collaboratore e amico Donato Pastore, sulla Aston Martin originale di Paul McCartney, che nel 2010 si trovò a Corsico, vicino a Milano, per un restauro. Per la prima volta si è così potuta vedere da vicino l’automobile, che – ci è stato confermato dal restauratore – ebbe effettivamente in incidente nel 1966: che poi l’incidente sia o non sia stato mortale è un argomento che noi sviluppiamo nel capitolo e …c’è chi la vede da destra, chi da sinistra! E’ vero che non c’è prova di un incidente mortale, ma ci si uccide anche a quaranta all’ora in città, oppure si può rimanere gravemente sfigurati, ma ora ci sono varie ipotesi anche sulla possibilità, effettiva e concreta, di un incidente, che per la prima volta dopo tanti, tanti anni, è stato dimostrato; la sua dinamica è tutta da verificare, però per la prima volta si sa che effettivamente c’è una base di verità su questo aspetto. Altri aspetti, tipo la corrispondenza facciale del “nuovo” Paul col “vecchio” Paul, e così via, erano stati indagati a fondo in altri momenti: sull’automobile non si era fatta luce, e noi cerchiamo di parlarne al meglio possibile.

G.: Sai che io ho visto “quell’auto”?

G.C.: L’hai vista a Corsico o dopo, restaurata?

G.: L’ho vista restaurata e, sarà la suggestione, qualche brivido, ti devo dire la verità, ha percorso la mia schiena…Perché, al di là dell’idea che ognuno si può fare, obiettivamente di “indizi” ce ne sarebbero tanti (“indizi”, cioè, per ritenere che il “vero” Paul McCartney non sia quello che ancora adesso ci allieta con la sua arte), e lascia effettivamente smarriti anche un’altra domanda: ma che fortuna c’è voluta per trovare non solo un sosia, che potrebbe essere stato “rimaneggiato”, ma uno straordinario artista dopo il “primo”? Immagino che questa sia una delle obiezioni più ricorrenti.

G.C.: Sì, questa è una delle obiezioni che viene fatta da sempre: alla fine del libro (e questa è l’altra sezione molto importante di cui parlavo prima) faccio, sotto forma di racconto, dieci ipotesi differenti, in cui rispondo alla domanda che mi fanno durante le interviste e le conferenze su come possa essere andata, e quindi questi dieci quadri rappresentano dieci possibilità, come quella che sia una “grande burla”, eccetera. Uno di questi racconti- che non dico sia il mio preferito, ma è quello che forse ogni beatlesiano si augura- prevede una ipotesi abbastanza “probabile” (sempre fra …virgolette) o meno improbabile, e cioè che il “vero” Paul McCartney non sia morto e che la storia dell’incidente sia soltanto metaforica, ma che si sia voluto far sostituire, volontariamente: ci sono anche molti fatti, accaduti intorno al 1966, che fanno propendere per questo tipo di soluzione. In questo caso, la sostituzione sarebbe molto più semplice: il sosia avrebbe avuto parecchi anni per prepararsi musicalmente e, nel frattempo, il “vero” Paul continuava a scrivere, a cantare nei dischi, a suonare il basso (che, poi, il fatto di suonare il basso è relativo: i Beach Boys, per esempio, avevano vari bassisti che incidevano nei loro dischi, e nessuno se ne è mai accorto: quindi…). Comunque, tutto potrebbe essere ammorbidito, non dico spiegato o semplificato, dalla presenza contemporanea di “due Paul” e questa ipotesi, nella fantasia di un beatlesiano, è il massimo: “due is meglio che one”, come diceva quella vecchia pubblicità!

G.: Ma quando è esploso questo “caso del doppio Beatle”?  …Perché si parla, come tu ricordavi, anche di una burla: però c’è stata una strana telefonata arrivata a un dj americano, e poi ci sono altri “indizi”, a cominciare dal fatto che, in contemporanea con questo dramma che si sarebbe consumato, i Beatles decidono di sospendere le esibizioni in pubblico.

G.C.: Esattamente: ci sono tre anni di “buco” completo fra il Candlestick Park, ultima esibizione ufficiale dei Beatles dal vivo (San Francisco, 29 agosto 1966: ndr) e il “concerto sul tetto” (“the rooftop concert”, 30 gennaio 1969: ndr), che, se mi permettete, non è indicativo delle qualità di un bassista, perché i pezzi sono molto più semplici di quelli di “Sgt Pepper’s”, le canzoni sono quattro, cinque…: voglio dire che non è stato un concerto vero e proprio e, comunque, erano passati tre anni. Se quello (sul tetto) fosse Paul McCartney “secondo”, avrebbe avuto tutto il tempo di imparare lo strumento, anche “a mancina”: anzi, se ti interessa, questa è una delle ultime grandi obiezioni che sono state smentite e di cui si parla in questa nuova edizione del libro. Una delle cose che più colpisce l’immaginario collettivo è: ma come avrebbero trovato uno che è uguale (e anche sul fatto che sia “uguale” fisicamente c’è da aprire una grossa parentesi) e pure mancino? Ma il mancinismo, per un musicista, è un fatto secondario: chi suona il pianoforte o la batteria sa che la cosa importante è l’indipendenza degli arti (al pianoforte, le mani, alla batteria tutti e quattro). Un musicista a quel livello avrebbe potuto tranquillamente sviluppare questa capacità; due bassisti italiani di famose tribute band, Emanuele Angeletti (“Apple Pies”: ndr) e Riccardo Bagnoli (“The Beatbox”, ndr) sono destrimani e suonano “ a mancina” solo per lo spettacolo: se lo fa un coverista italiano per lo spettacolo, figuriamoci uno che ha avuto tre anni e la possibilità di “ diventare Paul McCartney”- e “diventare Paul McCartney” non succede tutti i giorni-, con un training mirato riesce perfettamente a suonare il basso a mancina! Insomma, questo non è un problema: semmai ce ne sono tanti altri, invece, secondo me. Per esempio, difficili a spiegarsi sono il contatto con le persone, i vecchi amici, gli errori in cui uno incappa… Anzi, c’è un bell’elenco di strane affermazioni del “secondo” Paul McCartney, o diciamo, del Paul McCartney post-1966, che lasciano un po’ perplessi…

G.: Eh, sì: lo stesso scioglimento dei Beatles potrebbe essere giustificato, naturalmente accettando l’idea di un sosia, con il fatto che John Lennon abbia detto, non essendoci più il suo amico Paul “Basta con questa pantomima”. Fra l’altro, come tu giustamente ricordavi, il “nuovo” Paul non ha mai perso occasione per divertirsi e divertire (o ingannare, a seconda di come uno la pensi), con vari “indizi” nelle sue canzoni. Però, l’altra domanda è: “Chi sarebbe costui?”

G.C.: Eh, c’è un elenco di nomi che ricorrono negli anni: William Campbell o William Shepard, che sono i due nomi più leggendari, su cui non si sa assolutamente niente; poi ci sarebbe un tizio, Raymond Wood, che sarebbe stato mandato per una causa di paternità al posto del “secondo” Paul McCartney (che quindi sarebbe addirittura il sosia del sosia!) … Però non ci sono tracce specifiche. Intendiamoci: io non sto propugnando la tesi che Paul sia stato sostituito, perché io non lo so e quindi faccio tutte le ipotesi possibili, fra cui quella che invece sia tutta una grande burla. Però, avere trovato una persona priva di famiglia, o avere inscenato un finto funerale di questa persona… Insomma: di difficoltà ce ne sono, non lo nego; per cui, a chi mi dice “Non ci credo” rispondo “Magari fai bene”, nel senso che c’è anche una enorme difficoltà a creare questa grandissima sostituzione di persona, per carità.

G.: Una questione da intelligence, da servizi segreti, verrebbe quasi da dire. E’ vero che c’è stato anche un black-out dell’informazione nelle ore successive all’eventuale incidente da cui parte tutta la storia?

G.C.: Questo non è mai stato confermato; il fatto che quel giorno i giornali non siano usciti è più che altro una leggenda internettiana che è difficile controllare. Come si verifica oggi se il 10 novembre 1966 non sono usciti i giornali? Bah, mi sembra una leggenda internettiana. Fra l’altro, anche la famosa data è oggetto di discussione: sono tre le date probabili e potrebbero essere tutte finte. Quello che io dico è che non è un mistero di facile soluzione e, soprattutto, non è una di quelle cose in cui uno basta che dica “Tanto sono tutte fesserie”; addirittura, c’è ancora chi è convinto che sia stato tutto inventato dal “famoso” dj americano Russell Gibb, che avrebbe ricevuto la telefonata, cui tu accennavi poco fa.

G.: E che sarebbe stata fatta da John Lennon?

C.G.: No, da John Lennon sicuramente no: la telefonata dovrebbe essere stata fatta da un certo Tom Zarski, che poi scrisse un articolo dicendo che faceva parte di questa burla. Ma nei dischi dei Beatles gli “indizi” ci sono e, anche levando tutte le fesserie, tutte le sovrastrutture, tutte le coincidenze, rimane una trentina di indizi che fanno veramente accapponare la pelle: e quelli non ce li può davvero avere messi uno studente americano o un dj dentro i dischi dei Beatles li hanno messi “loro”. Per cui, io dico che la telefonata è stata imbeccata da qualcuno che o sapeva, o addirittura voleva fare esplodere la situazione. Se fossero stati i Beatles, come credo, le ipotesi possono essere due: una è quella della grande burla (quindi loro hanno fatto fare la telefonata per fare esplodere il caso e creare questa sorta di puzzle sul quale ancora dibattiamo ancora a distanza di tanti anni, e avrebbero fatto bene, perchè è un grande colpo: dal punto di vista artistico, è superiore a un altro long-playing!). Un’altra ipotesi è che loro abbiano fatto come nel racconto “La lettera rubata” (di Edgar Allan Poe: ndr), in cui una cosa si mette sotto gli occhi di tutti, così che non ci si fa caso, perché una cosa non la cerchi nel posto più evidente: potrebbero aver fatto esplodere il caso per poi smentirlo subito. In effetti, dal ’69 e fino a circa il 2002 non se ne è più parlato e quindi la cosa sarebbe anche riuscita: fare esplodere il caso e poi aggiungere Paul McCartney si mette a ridere e dice: “Se fossi morto, sarei il primo a saperlo”, Ringo Starr che dice “Is a load of crap”, “ è una “montagna di fesserie” (traduciamo in modo …morbido, anche se lui l’ha detto in maniera più pesante). A questo punto, tutti si mettono a ridere e dicono “Guarda un po’ che cosa si sono inventati questi “hippies americani fumati” e finisce lì: in effetti così è stato e per trent’anni non se ne è più parlato. Se ne è riparlato nel 2002 a opera di un “personaggio della rete”, diciamo così, e poi… beh, poi anche io ci ho messo la mia piccola parte almeno per quello che riguarda l’Italia, ma vedo che è un discorso rimbalzato in tutte le parti del mondo, perché ci sono siti dedicati e una grande attenzione su questo tema. Ricordo che quando, nel 2004, ho fatto le prime ricerche, i siti che ne parlavano erano sì tanti, ma erano circa un decimo di quanti ce ne siano oggi, si parla di grossi numeri.

G.: …Diciamo che tu hai una buona fetta di responsabilità – e lo dico nel senso positivo- perché il tuo libro è sempre più interessante e lo dimostra questa ennesima edizione. Possiamo concludere, però, visto che tu citavi prima Ringo Starr, con una sua dichiarazione recente “Io sono l’ultimo Beatle vivente”

G.C: … E’ vero, lo ha detto… E ha aggiunto: “…Anche se Paul dice di no!”

G.: Eh beh, certamente! Però ci sarebbe anche George Martin (il produttore dei Beatles: n.d.r) con il suo stemma…

G.C.: Eh, brava, è vero: altra cosa bellissima…

G.: Esatto: ci sono tante cose che sono, comunque la si pensi, assolutamente interessanti e imperdibili. Glauco, ti ringrazio molto e spero di avere occasione ancora di sentirti, magari per avere una soluzione definitiva… O forse no…

G.C.: Io penso proprio di no, almeno finchè qualcuno non ci dirà chiaramente” Va bene, le cose stanno così”: magari, lo stesso Paul McCartney…

G.: Ma tu, Paul lo hai conosciuto, lo hai incontrato?

G.C.: Assolutamente no…!

G.: E allora bisognerà provvedere!

G.C.: Magari!

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