Musica, letteratura e… Ziggy Stardust: chiacchierata con Luca Scarlini

 

 

 

Degli incontri organizzati da IlLibraio.it nei giorni del Salone del Libro 2016 vi avevo già detto prima dell’apertura della kermesse torinese: anzi, nell’occasione, parlando in questo mio salotto con Antonio Prudenzano – che quegli incontri ha organizzato – avevo promesso di ricambiare “la visita” quando fossi stata a Torino. L’ho fatto e ho verificato che i venti incontri, animati da novanta ospiti, sono stati molto seguiti e apprezzati: lo dichiaro senza piaggeria (anzi, smettiamola di dire che si fa seria informazione solo evidenziando difetti e sollevando dubbi. Fatti, non chiacchiere. E scusate la parentesi).

Fra i protagonisti Luca Scarlini, che in un incontro con i giovani ha ripercorso la storia del ‘900 italiano attraverso alcuni libri di Autori come Gadda, Flaiano, Tobino, Longanesi, Mastronardi e molti altri, mentre nel secondo ha parlato del rapporto fra musicisti e scrittura e scrittori e musica, ripercorrendo la musica popolare del ‘900, dal jazz all’hip hop, dall’elettronica al rock.

Luca Scarlini, saggista, drammaturgo, storyteller in scena, spesso insieme a cantanti, attori e anche in veste di interprete, insegna all’Accademia di Brera e in altre istituzioni italiane e straniere; collabora con numerosi teatri e festival in Italia e all’estero e con Radio3. Dal 2005 è direttore artistico del festival TTV di Riccione. Tra i suoi libri: La musa inquietante (Cortina) Equivoci e miraggi (Rizzoli), D’Annunzio a Little Italy (Donzelli), Lustrini per il regno dei cieli (Bollati Boringhieri).

Luca Scarlini da qualche settimana è in libreria con “Ziggy Stardust- La vera natura dei sogni” (ADD Ed): abbiamo parlato anche di questo libro e dello straordinario personaggio che lo ha ispirato .

Ecco l’intervista a Luca Scarlini, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.

Canzone consigliata: “Ziggy Stardust”, David Bowie: lo so, scelta prevedibile… ma deliziosamente irrinunciabile.

 

Giancarla: Raccontare la musica e i musicisti, rapportandoli alla letteratura: per lei che cosa è? Un divertimento, una sfida, una necessità?

Luca Scarlini: Non è un divertimento, perché è molto complicato: il divertimento, casomai, viene quando il libro è edito. E’ un meccanismo di racconto inventato dagli Antichi Greci, che si chiama Ekphrasis : raccontare con parole un fatto artistico. Io non racconto solo i musicisti, ma anche molti artisti e molti eventi fondamentali del teatro dell’800 e del ‘900: mi interessa raccontare il fatto artistico così come esso si è determinato e l’impatto che ha esercitato sulla memoria delle persone. Ci sono canzoni, spettacoli o romanzi che hanno saputo bloccare per sempre l’immaginazione collettiva, e altri che sono spariti dopo due secondi. In buona sostanza, la questione è che non esiste mai la garanzia che un’opera d’arte possa rimanere: è interessante capire come e quando rimane, e perché e quando il mondo capisce che in quell’opera d’arte c’è qualcosa che parla a tutti. In questo è il mio interesse.

G.: “Parlare a tutti”: ma parlare di questi argomenti ai giovani richiede un linguaggio diverso, o si tratta di stereotipi e quello che conta è solo il contenuto?

L.S.: Assolutamente stereotipi. Io lavoro nelle scuole da oltre trent’anni e so che i ragazzi non sono stupidi né ignoranti; certamente hanno meno termini di quelli che posso avere io, non hanno avuto l’occasione di fare letture (o, forse, non amano fare letture), ma hanno l’intelligenza del mondo e se le cose vengono loro spiegate in modo chiaro possono essere recepite perfettamente. Non starei a fare i soliti piagnistei per cui i ragazzi di oggi sarebbero stupidi mentre quelli degli anni ’60 erano geniali: conosco esempi di idiozia degli anni ’60, ancora oggi al potere, gente che non è mai stata intelligente in nessuna sua età.

G.: Sono completamente d’accordo: fortunatamente, l’imbecillità è…trasversale!

L.S.: Sì: come dicono dalle mie parti, a Firenze, “la mamma dei bischeri è sempre incinta”.

G.: Giusto. Ma torniamo al nostro discorso iniziale sul gemellaggio fra musica e opere letterarie: un ragazzo di quindici-sedici anni, riesce a trovare i punti di incontro dopo una precisa ricerca, o si tratta di trouvailles?

L.S.: Diciamo che la ricerca è evidente perché le cose non cadono dal cielo, ma è anche vero che bisognerebbe capire come mai negli Stati Uniti (io ho vissuto a lungo nei paesi anglosassoni) la musica popolare, il concetto di popular music e tutto quello che dal jazz arriva all’hip hop e all’elettronica abbia influenzato così tanto tanti scrittori diversi fra loro. In Italia negli ultimi tempi si parla soprattutto di romanzi scritti da cantanti o da musicisti, che possono essere frutto di una interessante ricerca culturale o puro commercio delle case editrici – che hanno bisogno di materiale scritto da personaggi : si giudica caso per caso, io non ho prevenzioni. Alcuni libri scritti da musicisti mi sembrano di ottimo livello: per esempio, ricordo “Il primo Dio” di Emidio Clemente, il cantante dei Massimo Volume, o anche il libro di Massimo Zamboni (ex CCCP ed ex CSI: n.d.r.) su suo nonno fascista, ucciso negli ultimi giorni della Repubblica di Salò (“L’eco di uno sparo”, Einaudi: n.d.r.), che mi sembrava molto interessante; altri non mi interessano per niente, perché mi sembrano dei gadgets per i fans (non sto a fare nomi…). Però è evidente che fra musica e letteratura c’è una relazione sempre ricchissima e non è per caso che molti poeti sono diventati cantanti: Leonard Cohen o Patty Smith nascono poeti (Leonard Cohen, negli anni ’60, prima di essere un cantante a tutto titolo ha scritto romanzi bellissimi). Quindi questo rapporto è sempre esistito, ma da noi è arrivato con molto ritardo: per esempio, in Italia si è sempre parlato tantissimo, nell’ambito della musica pop, di Franco Battiato e di quanto abbia attinto a Manlio Sgalambro, ma anche di quanto abbia chiesto testi a Fleur Jaeggy quando era compagna di Roberto Calasso. Insomma, sembra che la musica sia sempre stata più all’avanguardia che non la letteratura nel raccontare questa relazione. Ma noi abbiamo avuto lo scrittore Pier Vittorio Tondelli che negli anni ’80 seguiva la musica, scriveva sul mensile “Rockstar”: usava la musica per raccontare i suoi scenari generazionali. Insomma, non c’è niente di nuovo: basta rimettere insieme le tracce, lavorarci su e capire come queste tracce possano disegnare le modalità per vivere l’incontro fra letteratura e musica.

G.: L’ultima domanda che le faccio, che dovrebbe essere la prima di tante altre se il tempo lo consentisse, è: chi era Ziggy?

L.S.: Ziggy Stardust era un … messia lebbroso che veniva dallo spazio: una figura nata per annunciare al mondo che stava finendo l’energia, che l’energia avrebbe abbandonato gli esseri umani insieme alla musica, alla radio, a tutti gli strumenti di diffusione. Era anche la figura di un’epoca di crisi: era finito il ’68, le utopie rivoluzionarie non si erano realizzate, l’Inghilterra era un Paese in crisi, l’Impero era finito, l’economia era in gravissima ambascia fin dalla fine della seconda guerra mondiale. Per altro, l’Inghilterra non ha avuto un ’68 pari a quelli francese e italiano, a parte i movimenti studenteschi molto forti: il suo problema era l’Ulster, gli attentati a Londra, i morti ammazzati nell’Irlanda del Nord. Un periodo di grande crisi. Ziggy Stardust è una creatura di David Bowie che in questo mondo in crisi annuncia che l’unica chance di sopravvivere è pensare a un futuro in cui la messinscena, il racconto di se stessi, la creazione di altre identità potrà permetterci di sopravvivere a uno scenario assolutamente desolato. La desolazione produce la meravigliosa figura della queen, uomo, donna, bambina, alieno, terrestre (e tutto il resto), incaricato di annunciare al Mondo che oramai non c’è altra possibilità se non quella di cantare ballads romantiche in cui sia chiaro che un artista-profeta può aiutarci a superare la nostra condizione di solitudine e metterci in un ritmo del mondo più adeguato. Del resto, Bowie era seguace delle filosofie orientali ed è chiaro che c’è un principio buddista nel suo discorso sulla palingenesi e l’apocalisse. Ziggy Stardust è un disco di straordinaria complessità, a cominciare dal nome: Ziggy deriva da una sartoria di Londra (Bowie cambiava un numero infinito di abiti), e Stardust è il nome di un cantante fallito, un americano il cui nome era Norman Carl Odam, al secolo The Legendary Stardust Cowboy, passato alla storia per avere inventato un genere assurdo, chiamato psychobilly, in cui cantava canzoni distruggendole e balbettandole fino alla pazzia; la più famosa si chiama Paralyzed  ed è ancora oggi una grande hit su youtube.

G.: Come dicevo, potrebbero partire altre domande, ma … non escludo di farle in un prossimo futuro: nel frattempo, molte grazie.

L.S.: Prego! Buona serata-giornata- notte  (a seconda di quando ascolterete la trasmissione).

About Giancarla Paladini

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