Lago d’Iseo e Montisola: non solo Christo. Chiacchierata con Rosarita Colosio

coplupilago[1]Rosarita Colosio

“Le donne del lago”( Grafo Ed)

€ 15,00

“L’eroismo dei lupi di lago” (Liberedizioni)

€ 16,00

 

La Montagna è lì, immota e immobile: seicento metri di altezza, quasi tredici kmq di superficie e una sublime vocazione alla solitudine, condivisa dai circa 1800 abitanti che la amano devotamente, perché da Lei sono incantati. Sì, incantati. Infatti Lei, la Montagna, è magica: si erge dalle acque profonde di un lago, il Sebino, e guarda, vicina e distaccata nello spazio e nell’anima, la terraferma. E’ una montagna, ma è anche un’isola, e dunque il suo nome non può che essere Montisola, ombelico del Lago d’Iseo.

Questa isola incantata è a sua volta sotto incantamento, perché una specie di malìa, dal 18 giugno al 3 luglio 2016, consente di raggiungerla a piedi, camminando su di un magico ponte gettato sulle acque del Sebino: è per Lei, per l’Isola Incantata, che il mago-artista Christo ha ideato l’installazione “The floating piers”.

Ed ecco che di colpo, grazie alla notorietà mondiale del demiurgo bulgaro, tutto il pianeta viene a sapere dell’esistenza di quest’ isola nel lago, anche se Lei si scopre psicologicamente del tutto impreparata a tanto clamore.

Lo conferma la professoressa Rosarita Colosio, una degli abitanti incantati, che confessa l’orgoglio dei suoi concittadini per la notorietà inaspettata, ma anche il loro smarrimento davanti a tutto quel rumore … Perché ai Montisolani piace moltissimo essere anche Montisola-ti: da sempre abituati alla tranquillità della loro terra, la amano così tanto e così com’è che per continuare ad abitarvi fanno i pendolari, si sobbarcano trasferimenti scomodi e costosi con i luoghi di lavoro sulla terraferma (e, non bastasse, sull’isola le automobili sono vietate: le uniche a circolare sono quelle necessarie ai servizi pubblici fondamentali ); sono disposti persino –  ma questa è davvero una bella notizia – a riscoprire lavori (anzi, mestieri, come si dice da queste parti) abbandonati da almeno una trentina di anni, la cui memoria è affidata solo agli anziani del luogo.

Questa memoria Rosarita Colosio ha con dedizione raccolto negli anni e pubblicato in diversi volumi: i più recenti, dei quali qui ci occupiamo, sono“Le donne del lago” (Grafo Ed) e “L’eroismo grigio dei lupi di lago” (Liberedizioni).

Nel primo leggiamo le storie vere delle donne che, fra il 1880 e il 1960, con il duro lavoro di filandaie, allevatrici di bachi da seta, tessitrici, retaie, domestiche, barcaiole, nel tempo libero (sic!) anche contadine e, in tempi più recenti, levatrici e insegnanti hanno contribuito a mantenere le loro famiglie, arrivando pure a contrabbandare sigarette e grappa quando le guerre, le malattie, l’emigrazione ne allontanavano gli uomini; del secondo, viceversa, i protagonisti sono proprio questi ultimi e raccontano il lavoro di pescatori, nella zona un tempo diffusissimo e oggi quasi scomparso. Nell’800, alla pesca nel lago d’Iseo si dedicavano almeno mille uomini: oggi sono rimasti in meno di quaranta, ma alcuni di loro – e questa, si diceva, è la bella notizia – sono giovani che hanno deciso di affrontare la crisi rimboccandosi le maniche rimontando in barca, come i nonni e bisnonni prima di loro.

Nel libro sono molte le fotografie che documentano le preziose testimonianze raccolte dall’Autrice che, come tutte le donne della sua Montagna-Isola, prima di laurearsi in Pedagogia e in Storia, ha lavorato come operaia in un retificio.

Ecco l’intervista a Rosarita Colosio, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.

 

Giancarla: Stiamo per parlare di due libri ma, soprattutto, della “terra” che per lei in questi anni è stata il pretesto per tante ricerche e tanti altri volumi: noi ci occuperemo dei due più recenti, uno dedicato agli uomini del lago e l’altro alle donne della sua terra, Montisola. prima di tutto, vuole raccontare a chi ancora non la conosca che luogo sia Montisola?

Rosarita Colosio: Montisola è un luogo splendido, magico: è una montagna al centro del lago d’Iseo e per me è uno dei luoghi più belli d’Italia, e non solo. Ora è diventata famosa in tutto il mondo per la questione del “ponte” di Christo, ma è sempre stata bellissima. Nel libro, però, non parlo dell’isola, ma delle donne e degli uomini di tutto il lago di cui noi siamo al centro, perché a me piace la ricerca antropologica riferita al lago d’Iseo, è la mia passione.

G.: Lei è di Montisola?

R.C.: Sì, sono di Montisola, da sempre abito nella vecchia casa di famiglia.

G.: Infatti, dal suo lavoro traspare un amore, suo e degli altri abitanti del luogo, che non è soltanto “il normale amore” per la propria terra: lei, ad esempio, ha definito Montisola “un luogo magico, incantato”. Perché?

R.C.: Perchè, nonostante le difficoltà, i disagi e le spese che comporta vivere su di un’isola (gli spostamenti portano via molto tempo, sull’isola non si può usare la macchina, che va lasciata sulla terraferma, a Sale Marasino o a Sulzano, e poi i costi stessi degli spostamenti, dal momento che dobbiamo pagare anche il battello, sono notevoli), c’è però “qualcosa” che ci fa sempre preferire restare. Certo, nelle giornate di pioggia, quando si deve raggiungere il battello in moto, sotto l’acqua, viene da dire: “Che bello sarebbe abitare sulla terraferma!”: ma solo in quei giorni lì, perché poi, da marzo alla fine di ottobre, a Montisola si sta un gran bene. Le mie sorelle, che dopo il matrimonio si sono trasferite fuori, vengono ogni domenica e quando arriva il momento di andarsene sono sempre dispiaciute: il loro cuore è rimasto qui e mi invidiano, nonostante la loro vita sia più comoda. Nelle belle giornate, qui si sta bene: ci si sente bene, ecco.

G.:  …E mi sembra la risposta perfetta: ma ora veniamo ai libri. Lei ha ricordato che la sua è una ricerca antropologica, molto accurata e documentata anche da belle immagini. Abbiamo parlato di due libri, in particolare.

R.C.: Sono anche quelli che, fra i miei, mi piacciono di più: “Le donne del lago” e “L’eroismo grigio dei lupi di lago- Storie di pesca e pescatori sul lago Sebino”, che una volta erano moltissimi e oggi sono una trentina circa. E anche tanti mestieri delle donne non ci sono più, e non c’è più niente che li ricordi. Ad esempio, ne “Le donne del lago” parlo delle filande del Lago d’Iseo: ce n’erano tantissime e hanno occupato per tanti e tanti anni le donne; ne sono rimaste poche viventi e sono solo loro a ricordare questa attività.

G.: Quindi possiamo dire che le donne del Sebino hanno sempre contribuito attivamente all’economia della zona e delle loro famiglie, non “soltanto” (e chiedo scusa per questo “soltanto”) in casa, ma lavorando fuori casa: un lavoro, il loro, fondamentale.

R.C.: Io ho fatto parte, tempo fa, di un gruppo di ricerca: mi sono meravigliata scoprendo che non c’è un lago come il Sebino dove la donna fosse protagonista dell’economia della sua famiglia. Qui, sul Lago d’Iseo, mentre gli uomini erano in guerra, ma anche nel dopoguerra, era la donna che portava avanti la casa: la donna lavorava in filanda, dove c’era la filanda; lavorava nella filatura, dove c’erano le manifatture del cotone e della lana; a Montisola, dove c’erano i retifici. Quando le fabbriche hanno chiuso, per sostenere la famiglia le donne hanno continuato a inventarsi dei mestieri nuovi : facevano le barcaiole, aiutavano i mariti a pescare, facevano le pescarine, le venditrici di pesce, e, addirittura, anche le contrabbandiere!

G.: Un momento: come, le “contrabbandiere”?!

R.C.: …Contrabbandiere di grappa!

G.: … Che veniva distillata clandestinamente in casa, immagino.

R.C.: Sì, veniva distillata nelle case dei contadini dei paesi del basso Lago: io ho incontrato una di queste donne, che mi ha raccontato la sua storia. Lei girava per tutti i paesi della zona: indossava abiti ampi e metteva la grappa in una specie di camera d’aria, che, per la paura di essere fermata, fissava intorno alla vita in modo da sembrare incinta; a un certo punto, le donne hanno anche contrabbandato sigarette. Specie nel dopoguerra, che è stato un periodo di grande povertà, loro riuscivano a fare vivere abbastanza decentemente le loro famiglie. Qui, sul lago, quando una donna era incinta le si augurava di avere una femmina, perchè chi aveva tante figlie si assicurava una buona economia familiare. Per me sono state davvero donne straordinarie, quelle del lago d’Iseo.

G.: Assolutamente. In questo libro lei abbraccia un arco temporale molto ampio e molto importante per l’economia italiana, dal 1880 al 1960 circa. Ma i giovani conoscevano questi fatti? Se ne parlava nelle famiglie o il suo lavoro serve proprio a fare scoprire ai giovani queste storie giudicate “piccole”, che venivano date per scontate?

R.C.: Beh, basti dire che le ragazze, oggi, non sanno più “fare la rete”, che invece un tempo si imparava fin dalla scuola materna, e così alle elementari tutte erano già brave fare il loro pezzettino di rete per guadagnare qualche soldo: però ci sono ancora le loro nonne, che l’hanno fatta perché a Montisola fino agli anni ’70/’80 c’erano le fabbriche che davano anche lavoro a domicilio. E fino agli anni ’70/’80 c’erano ancora le barcaiole: i mariti caricavano le merci sulle barche, ma al trasporto delle persone pensavano loro, le donne. Questo libro ha fatto loro piacere, perché, anche grazie alle interviste, ho salvato un pezzo di storia che si sarebbe cancellata: morte le nonne e le bisnonne, più nessuno l’avrebbe raccontata.

G.: E adesso parliamo dei pescatori. Di solito si dice “lupo di mare”. Lei invece li ha chiamati…?

R.C.: Beh, io li ho chiamati “lupi di lago”!

G.: Giustamente!… Ma l’idea del “lupo”, cioè di un animale solitario e ombroso, corrisponde alla loro psicologia?

R.C.: Sì: io li ho chiamati anche “eroi grigi”, perché erano sempre sul lago, non erano nemmeno tenuti molto in considerazione anche se erano produttori di cibo. Il pesce era un alimento importante che, grazie a loro, arrivava su tutte le tavole, anche quelle dei contadini e di chi abitava distante dal lago. “Lupi di lago” perché lottavano, anche: per le reti, per le postazioni migliori per la pesca, eccetera.

G.: Si potrebbe pensare – ma lo dico solo come battuta, perché tutti sanno che non è così-  che fare il pescatore su un lago non sia pericoloso: in realtà ci sono i pericoli, come le famose sarneghère, le tempeste improvvise, e quindi questi uomini dovevano avere anche una esperienza notevole per non rischiare la loro stessa vita.

R.C.: Eh sì: conoscevano talmente bene il lago che c’è stato solo un caso mortale, fra ‘800 e ‘900, con due pescatori annegati. Per loro, il lago era sicuro: ci dormivano, sul lago, prima dell’avvento della pesca a motore, negli anni ’60; poi, è arrivato il nylon, le reti sono diventate leggere e sottili e non c’era più bisogno di dormire sulla barca, che era la loro casa. E così è cambiato anche il mestiere del pescatore. No, non avevano nessuna paura del maltempo, perché quando stava per arrivare la sarneghèra, questo vento d’estate, delle giornate di caldo esagerato (e non è cosa comune) loro la riconoscevano anche in base al colore dell’acqua e sapevano dove riparare. Il lago era la casa dei pescatori come lo era per le quattro barcaiole del libro: nessuna di loro sapeva nuotare, ma si sentivano sicurissime sul lago più che sulla strada!

G.: Lei ricordava che oggi c’è solo una trentina di pescatori: ma la pesca nel lago permette di vivere decorosamente?

R.C.: E’ un mestiere difficile, ma loro dicono che riescono a viverne. Ora, poi, ci sono cinque giovani che si sono aggiunti ai trenta: avevano già la barca del nonno, che faceva il pescatore; hanno iniziato d’estate, durante le vacanze scolastiche, e poi hanno deciso di continuare. I pescatori che ho intervistato mi hanno detto che anche oggi si può vivere di pesca, purchè ci sia la passione per questo mestiere che è, appunto, difficile (anche oggi bisogna alzarsi alle quattro del mattino per tirare le reti). E’ un lavoro particolare: bisogna saperlo fare e bisogna amare il lago. Non ci si improvvisa pescatore: si deve appartenere a una famiglia che conosce il lago e il mestiere, ma si riesce a vivere anche oggi di pesca.

G.: Lei ha detto che questi dei quali stiamo, purtroppo frettolosamente, parlando sono due libri che le stanno particolarmente a cuore. Perché?

R.C.: Perchè parlando di “donne del lago” parlo di mia madre, di mia nonna, della nostra storia personale, delle nostre radici, ed è così anche per quanto riguarda gli uomini: scrivere questi libri è il mio modo di salvare queste radici.

G.: Per ultima, le chiedo: il grande rumore attorno all’opera di Christo, che ha portato il nome di Montisola e il Lago d’Iseo in tutto il mondo, anche dove non era conosciuto, come viene vissuto da voi residenti? Cioè, diciamoci la verità: ne siete contenti o no?

R.C.: …Mah… Da una parte, siamo contenti che si conoscano l’isola e il lago, perché tanti, anche in Lombardia, non conoscono Montisola e il “lago” per loro è solo il Garda, però… Guardiamo che cosa succede: la nostra unica preoccupazione viene dal fatto che siamo abituati ad avere poca gente sull’isola… e l’idea che arrivi questa massa enorme di gente… ! L’opera è bella, perché vedere le strade sull’acqua fa venire voglia di camminarci sopra, è interessante: però l’idea che arrivi tutta questa gente ci spaventa un po’.

G.: Insomma, volete essere isolani e anche un po’ isolati!

R.C.: Eh, sì: siamo abituati a essere isolati !

G.: Ma come si chiamano gli abitanti di Montisola?

R.C.: “Montisolani”.

G.: Bene: basta cambiare una consonante e da “montisolani” potete tornare a stare tranquilli nella vostra terra che, come lei ha detto, è assolutamente incantevole!

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