Disonesti quotidiani (o de “Il piacere dell’onestà”, Luigi Pirandello, 1917)

Viviamo in un mondo infarcito di disonestà.
Non mi sto riferendo solo a quella, conclamata, di certi politici, finanzieri, burocrati, militari e grandi imprenditori, ma a quella consumata quotidianamente da gente piccola, anonima, apparentemente inoffensiva.
Viviamo avvolti in una ragnatela di disonestà, consumate nel silenzio solo perché il chiasso attorno, reale o artatamente sollevato, le copre.
Gli stessi disonesti quotidiani – come chiamo questa marmaglia – alzano la voce, “indignandosi, ingrugnendosi” (la citazione deandreiana è d’obbligo) e puntando il dito accusatore contro il malcostume dilagante, ma solo per raccogliere facili proselitismi e povere ipocrisie: in realtà depistano per coltivare nella loro oscura anima frustrazioni, invidie, avidità.
A seconda del proprio carattere si mostrano simpatici, efficienti e umili con i potenti ma, contemporaneamente, senza timori svelano a danno dei deboli la loro vera natura .
Rubano, questi disonesti quotidiani: che sottraggano beni materiali, lavoro, idee, verità, affetto, serenità e persino reputazione, e che il furto avvenga brutalmente o in guanti bianchi, fa ben poca differenza.
Rubano e tradiscono la fiducia di chi si accosta loro disarmato.
Di questi malfattori è pieno il mondo.
Io ne ho incontrati molti, nella mia vita.
Da ragazza, pur riconoscendoli per istinto, pensavo fossi io a peccare di malizia, e per questo mi sentivo in colpa; oggi so che il mio sesto senso non sbaglia e dovrei dargli retta, perché ho imparato a mie spese che è solo questione di tempo e modi e la disonestà viene a galla.
So anche che i tempi e i modi dipendono dalla altrui debolezza ma, soprattutto, so che ad agevolare i disonesti è la garantita impunità, perché se questi sciagurati solo ipotizzassero che qualcuno potrebbe chieder loro conto e ragione del male commesso, si comporterebbero in maniera assai differente: per convenienza personale, naturalmente, perché i disonesti non demordono mai.
Beh, io credo – e non per desiderio di vendetta – che ne risponderanno: credo che un giorno Qualcuno poserà la loro anima sulla bilancia per verificare che pesi meno di una piuma.
Ma la loro anima, questo lo sappiamo per certo, pesa come un macigno.
Quel giorno non ci saranno alibi e bugie: si troveranno davanti al male commesso, lo proveranno su di sé tutto insieme e inorridiranno.
Però credo anche che la Misericordia, alla fine, avrà pietà di loro e così resteranno, in qualche modo, per sempre impuniti.
Forse.

Leggetevi Pirandello, che sulla questione del vero, falso e verosimile e, dunque, dell’onestà, già cento anni fa aveva gettato una luce chiarissima.

G.P.

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