“Cuccioli per i Bastardi di Pizzofalcone”: chiacchierata con Maurizio de Giovanni

 “Cuccioli per i Bastardi di Pizzofalcone”, Maurizio de Giovanni, Einaudi.

Stile libero Big 2015

pp. 328

€ 19,00

ebook €9,99

 

 

Ho conosciuto Maurizio de Giovanni nel 2012, al Salone del Libro di Torino, in occasione dell’uscita del suo magnifico “Il metodo del coccodrillo”. Quella mattina la mia agenda era fittissima di appuntamenti e ogni minuto di ritardo rischiava di mandare all’aria il mio complicatissimo incastro di impegni. Maurizio non arrivava e io stavo cominciando a preoccuparmi, quando ho visto arrivare verso di me un sorridente signore alto alto, che già da lontano mi porgeva la mano e mi salutava con grandissima cordialità: “Sì, lo so, adesso penserà che siccome sono napoletano è normale che sia in ritardo! Ma non è così, è che gli impegni qui sono tanti e mi sono liberato solo ora. Chiedo scusa!”. Dopo 58 secondi (letteralmente) con Maurizio ci davamo del “tu”: l’intervista cominciò e io studiavo la persona che avevo davanti. “Così, questo è de Giovanni?- mi dicevo- Questo cortese, gioviale e simpatico signore è davvero il creatore dell’ombroso Commissario Ricciardi?”. Non che mi aspettassi uno scrittore emaciato e tormentato, con le occhiaie e lo sguardo liquido rivolto a mondi brumosi e lontani, ma la differenza umorale e caratteriale fra il suo già amatissimo protagonista (lui sì perso a guardare le cose terribili e dolorose che “il Fatto”, suo malgrado, gli mostra) e colui che lo aveva creato mi sembrava così clamorosa da spiazzarmi: positivamente, come scoprivo chiacchierando con lui del nuovo personaggio protagonista de “Il coccodrillo”, l’ispettore Lojacono, sbattuto per punizione dalla sua Sicilia nella Napoli dei nostri giorni e separato inesorabilmente, e ingiustamente, dalle sue radici professionali e affettive.

Parlare con De Giovanni è la cosa più semplice che ci sia, perchè lui ti mette a tuo agio, ascolta davvero quello che dici, risponde con la massima disponibilità e si capisce subito che ama profondamente scrivere. Discutevamo di un romanzo perfetto in cui De Giovanni, il solare De Giovanni, descrive l’amore, e soprattutto il dolore scuro che deriva dalla sua privazione, declinato per la prima volta alla maniera di Lojacono. L’intervista finì con la sua lettura dell’incipit de “Il metodo del coccodrillo”: emozionante.

Da allora, ho avuto più e più volte la fortuna di incontrare Maurizio de Giovanni e chiacchierare con lui, e ogni volta finisce che della trama dei suoi romanzi parliamo poco e invece ci spingiamo molto spesso a ragionare dell’animo umano: o meglio, lo fa De Giovanni, sempre profondo e sensibile.

E’ successo anche ora, che avremmo dovuto parlare de “Cuccioli per i Bastardi di Pizzofalcone” (Einaudi): non abbiamo scambiato una parola sulla storia, spendendone invece molte sulla sua esperienza di Autore sempre più aperto alle varie possibilità che la scrittura – che sia per il teatro, la televisione, un giornale o, naturalmente, per un romanzo – gli offre.

Così sono io a spiegarvi che questa volta i poliziotti di Pizzofalcone si trovano a indagare sul ritrovamento di una neonata, lasciata in fin di vita vicino ad un cassonetto della spazzatura accanto al commissariato: chi l’ha abbandonata? Sua madre? Ma chi è la madre? Che fine ha fatto? E perché buttare via la bambina e non affidarla ad un ospedale? I poliziotti del Commissariato di Pizzofalcone, così reietti da essere chiamati Bastardi come i cani che da qualche tempo spariscono misteriosamente dalle strade di Napoli, si troveranno ancora una volta a condurre una inchiesta contro tutto e tutti, forti e vincenti per mestiere, ma fragili e fallibili per condizione umana. Però non mollano: questo è il loro segreto.

De Giovanni, originale e amatissimo dal suo pubblico sempre più affezionato e sempre più numeroso, non tradisce le aspettative nemmeno questa volta: ne ho già scritto e detto e dunque non mi ripeterò (cfr: questo sito, “Gelo per i Bastardi di Pizzofalcone” e “Anime di vetro. Falene per il Commissario Ricciardi”), salvo ribadire che leggere le pagine di De Giovanni è sempre bello. Tutto qua.

Tornando al romanzo, come è noto dalla serie dei “Bastardi” è stata tratta una fiction televisiva Rai (in onda nell’autunno del 2016), alla cui sceneggiatura ha collaborato lo stesso Autore; l’ispettore Giuseppe Lojacono è interpretato da Alessandro Gassmann: è lui il “Cinese” al quale, come sentirete e leggerete, alludiamo Maurizio ed io nell’intervista nell’attesa di applaudirlo presto a teatro come interprete di una piéce scritta apposta per lui da De Giovanni. Del resto, Maurizio de Giovanni, oltre a collaborare alla sceneggiatura delle fiction tratte dai suoi libri, proprio su invito di Gassmann ha già firmato il nuovo adattamento teatrale de “Qualcuno volò sul nido del cuculo”: ma…tranquilli! De Giovanni non ha nessuna intenzione di abbandonare la narrativa per altri lidi: dunque, alla prossima!

Ecco di seguito l’intervista a Maurizio de Giovanni, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.

Canzone consigliata: “E penso a te”, nella versione di Lucio Battisti.

Giancarla: Sono veramente molto grata per il tempo che vuoi dedicare a questo piccolo salotto, perchè, come ci dicevamo pochi secondi fa, le tue giornate sono sempre più dense di impegni: infatti, la prima domanda che ti rivolgo è “Quante ore hanno le tue giornate?”

Maurizio de Giovanni: Eh, io cerco di moltiplicarle, disperatamente, perché ormai è diventato un accavallamento costante di problematiche di diverso tipo, perché ci sono televisione e teatro che prendono alla scrittura un tempo enorme, che io non sapevo: però si parla di cose belle, e per uno come me, che ha lavorato trent’anni in banca, è un “parco dei divertimenti”!

G.: Ah, che meraviglia! Questa è anche una bella componente della tua personalità: chi ti conosce (e sono sempre di più quelli che ti conoscono, anche perchè i tuoi incontri ed i seminari che tieni sono sempre più affollati), sa che sei una persona solare.

MdG: Grazie

G.: Devo dirti la verità: questo contrasto fra il tuo modo di essere così diretto e cordiale …

MdG: … e quello che scrivo? Certo.

G.: Sì: è forte. Tu come ti ci trovi, dopo tanti anni?

MdG: Mah, io credo che le storie siano una cosa e le personalità un’altra, non credo che ci sia una necessaria compatibilità fra i due elementi: penso che ognuno racconti le storie e le debba raccontare con compenetrazione e con partecipazione emotiva. Nel momento in cui tu “vuoi bene” ai tuoi personaggi, anche quelli negativi, e “vuoi bene” alle storie che gli capitano, devi essere profondamente e affettivamente connesso con loro per poterne raccontare i sentimenti, le idee, le emozioni; se sei connesso profondamente, fatalmente il tuo racconto prende le tinte di quelle emozioni: quindi anche una persona allegra e di natura comunicativa, come spero e penso di essere io, si ritrova poi a essere immerso nelle tenebre di un’anima sconvolta, in una situazione diversa. Lo devo fare ma, sinceramente, mi piace farlo, mi diverte molto.

G.: E questo è bellissimo. Mi pare fosse stato il Maestro Enrico Simonetti a dire di una cantante che, in una gag televisiva, aveva finto di essere stonata: “Solo una cantante intonatissima può sembrare stonata”. Mi pare sia qualcosa di simile a quello che stai dicendo tu.

MdG: Esatto. Grazie…

G.: I “Bastardi”, che adesso hanno a che fare con i “cuccioli”, stanno facendo un ulteriore progresso nella loro storia di persone e di inquirenti, e questo è un aspetto molto interessante del lavoro che stai facendo su questa squadra di personaggi: la dimensione del “giallo”, del “poliziesco”, resta comunque molto forte (anche se noi lettori rimaniamo ovviamente conquistati dalle personalità). Sei d’accordo?

MdG: Io sono convinto che i “Bastardi di Pizzofalcone”, cioè questi poliziotti “imperfetti” che hanno degli aspetti personali e anche pubblici negativi e che però, trovandosi insieme, sviluppano uno spirito di squadra che nel loro totale li rende superiori alla somma delle parti, siano una cosa molto più realistica e comune di quanto la narrativa sia abituata a pensare. Capita spessissimo che in una struttura professionale (penso a un giornale, penso a una grande azienda) un gruppo di lavoro trovi negli altri partecipanti il sostegno che fa dare il meglio di sé: è la gestione, l’organizzazione, l’ottimizzazione di quelle che, con un orribile sintagma, sono chiamate risorse umane, che penso sia nelle necessità di ogni gruppo di lavoro. Io ho immaginato questo gruppo di persone che finiscono per caso in una struttura che deve chiudere e che trovano nel conforto di se stessi la capacità di mettere insieme un bel lavoro: solo questo.

G.: …In assoluta controtendenza, ci sono situazioni lavorative che si chiudono e si concludono nell’indifferenza reciproca e, visto che viviamo tempi di individualismo, trasferendo questa tua immagine nella realtà, il messaggio che mi sembra tu trasmetta è: il dolore, che in qualcuno scatena il delitto, in qualcun altro (per esempio nei tuoi poliziotti, ma vale anche per Ricciardi) diventa invece motivo per evitare che altri soffrano. Insomma: ci vuoi dire che “si può fare”?

MdG: Io dico che “si può fare”: sono convinto di sì, perché credo che l’attitudine ad avere il coraggio di esprimersi, a fare “uscire fuori” anche il proprio disagio, possa molto venire fuori dal conforto della percezione delle altrui imperfezioni. Se io capisco che c’è chi sta come me, o peggio, sono più portato ad affrontare le mie problematiche con energia: quindi credo che rispecchiarsi, ritrovarsi, in un gruppo di persone che hanno problematiche possa aiutare ad intervenire in termini risolutivi sulle proprie.

G.: E’ bellissimo parlare con te, perché finiamo col parlare di cose che ci allontano, forse, dal tema…

MdG: Certo! Ma la letteratura serve a questo: io credo che sia un detonatore, un motorino di accensione dei pensieri, dei sentimenti e delle emozioni. La piccola ferita che c’è sul cuore ogni volta che si legge qualcosa di bello, o si assiste a una fiction o a un film, o si sente una canzone, credo che sia bellissimo sintetizzarla, farla propria, e cambiare un po’: cambiando un po’, si può migliorare o peggiorare, ma l’importante è che ciò che avviene non ci lasci indifferenti. Secondo me, questo è il principio basilare della letteratura.

G.: Come non essere d’accordo…? Ma, Maurizio, andare in giro per Napoli con “il Cinese”, come è?

MdG: …Eh, “lui” è uno straordinario ragazzo; è una persona di una sensibilità, di una intelligenza, di una allegria, di una ironia e di una autoironia che in un attore di quella grandezza non ci aspetta. Abbiamo instaurato un bel rapporto: io ho scritto per lui e per la sua regia l’adattamento (teatrale) di “Qualcuno volò sopra il nido del cuculo”, che sta girando per l’Italia con un buon successo; ci conoscevamo già da prima di cominciare quest’avventura insieme. Abbiamo un rapporto di amicizia bello e io spero anche che possa ulteriormente consolidarsi a livello di collaborazione artistica, perché lui mi ha chiesto se avevo una nuova idea teatrale, questa volta da fargli interpretare e io l’idea ce l’ho: quindi ne stiamo parlando e sono convinto che faremo altre cose insieme.

G.: Naturalmente stiamo parlando Alessandro Gassmann, però parliamo anche del fatto che i protagonisti (che nella tua testa, come nella nostra, sono ovviamente tridimensionali) grazie alla fiction televisiva dedicata ai “Bastardi di Pizzofalcone” acquistano un corpo. Quando ci siamo sentiti, qualche mese fa, e tu stavi scrivendo la sceneggiatura, ci siamo lasciati con un “Come sarà, alla fine, questo esperimento, dal punto di vista emotivo?”. Quindi: come è stato?

MdG: Mah, sai, sono linguaggi diversi: bisogna prendere coscienza e consapevolezza che non puoi rendere con tre pagine uno stato d’animo senza nemmeno dire chi lo sta provando, lasciando al lettore l’interpretazione o, poi, il divertimento di ricordare chi fosse il personaggio che era lì e di cui si stava parlando; qui lo devi rendere con i dialoghi e le espressioni degli attori. Quindi il lavoro è ben diverso, è enormemente differente: è stimolante, è divertente. Inutile dire che chiunque dovesse leggere i libri e poi vedere la fiction, o il film, o la riduzione teatrale, rimarrebbe inevitabilmente sorpreso dalla differenza dei due linguaggi. Però devo dire che ha una sua bellezza: io l’ho trovato… divertente, nel senso proprio del termine, cioè che “diversifica”, che “porta da un’altra parte”. “Divertere”, “trascinare altrove”, credo che sia un aspetto che rende piacevole anche l’attività di sceneggiatura. Io preferisco scrivere romanzi, devo essere sincero: continuo ad essere uno che preferisce scrivere romanzi, però è divertente anche questo.

G.: Maurizio, quante cose ti vorrei chiedere… Però, magari, le riserviamo per le prossime occasioni, se sarai sempre così gentile da trovare tempo per me.

MdG: Certo, voglio sempre parlare con te, Giancarla: quindi, in ogni momento dovessi avere voglia di chiacchierare io sono qui.

G.: Ti ringrazio davvero tanto, Maurizio, e ti rimando ai tuoi mille impegni… Ah, mi ricordo che una volta mi hai detto di essere una persona pigra…!

MdG: Sì, sono molto pigro. Lasciato a me stesso, non toglierei neanche il pigiama, sinceramente: invece devo saltellare da un lato all’altro, il che, per uno del mio peso, è abbastanza antitetico… Però, va bene!

 

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