“Cinque racconti romani per Rocco Schiavone”: chiacchierata con Antonio Manzini

con antonio manzini 2016 bAntonio Manzini, “Cinque racconti romani per Rocco Schiavone”

Sellerio Editore Palermo

2016
256 pagine
14,00 euro

 

Schiavone è romano di Trastevere e ha una cinquantina di anni, la prima parte dei quali trascorsi insieme a compagnie non proprio raccomandabili mai del tutto sparite dalle sue frequentazioni abituali; fuma molto – e non necessariamente solo tabacco-, usa espressioni non propriamente auliche per descrivere i suoi stati d’animo e relazionarsi col prossimo ed è convinto che certe regole siano del tutto inutili, anche se ci tiene moltissimo che lo si chiami con il giusto titolo professionale. Parla poco con la gente, ma moltissimo con la moglie: peccato che quest’ultima sia oramai solo un fantasma. E odia le feste, Schiavone, specie quelle “comandate”, e i party affollati. Potrebbe passare semplicemente per un misantropo o per uno spirito libero insofferente dei regolamenti e dei divieti, se non fosse che Schiavone – che di nome fa Rocco – è un poliziotto: per la precisione è vicequestore, come si affretta a puntualizzare ogni volta che qualcuno si ostina a chiamarlo “commissario”. Ecco perché i suoi modi ed i suoi metodi non lo mettono in buona luce presso colleghi e superiori ed ecco perché, quando ne combina una di troppo, per punizione viene traferito dalla sua città, Roma, in un’altra della quale prima non aveva mai considerato neppure l’esistenza: Aosta.

E’ da questo momento cruciale della sua vita che Rocco Schiavone ci viene raccontato dal suo creatore, Antonio Manzini, nel primo dei romanzi che lo hanno per protagonista: nel 2012, Sellerio Editore Palermo pubblica “Pista nera”, seguito da “La costola di Adamo” (2014), “Non è stagione” (2015) e “Era di maggio” (2015).

I lettori hanno subito accolto con entusiasmo questo nuovo investigatore ed il suo Autore, così come il volume del quale ci stiamo occupando, “Cinque racconti romani per Rocco Schiavone(Sellerio Editore Palermo): in questo caso, come spiega il titolo, incontriamo il vicequestore nei mesi immediatamente precedenti il suo trasferimento d’ufficio al Nord.

La particolarità dell’operazione editoriale sta nel fatto che si tratta di un’antologia che riunisce cinque storie già precedentemente pubblicate da Sellerio nelle raccolte poliziesche “Capodanno in giallo”, “Ferragosto in giallo” e “Regalo di Natale”, e non di avventure inedite: malgrado questo, sono state immediate e positive le reazioni dei lettori sui socials, confermate dalle alte posizioni nelle classifiche di vendita presto raggiunte dal volume. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, del crescente amore dei lettori per Antonio Manzini e per il suo anti-eroe.

E i lettori sono già in attesa della trasposizione sul piccolo schermo delle indagini di Rocco Schiavone, che avrà le fattezze e il carisma di un ottimo attore, romano come lui e come Antonio Manzini: il protagonista della serie che Rai2 trasmetterà fra pochi mesi, sceneggiata anche dallo stesso Manzini e diretta da Michele Soavi, sarà infatti Marco Giallini.

L’AUTORE

Antonio Manzini, attore, regista e sceneggiatore, ha pubblicato i romanziSangue marcio” eLa giostra dei criceti”. La serie con Rocco Schiavone è iniziata con il romanzoPista nera” (Sellerio, 2013), seguito da La costola di Adamo (2014), “Non è stagione” (2015) e “Era di maggio” (2015), oltre che dai racconti presenti nelle antologie poliziesche “Capodanno in giallo”, “Ferragosto in giallo” e “Regalo di NataleCon Sellerio Editore Palermo ha pubblicato anche “Sull’orlo del precipizio” (2015).

Ecco l’intervista ad Antonio Manzini, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.

Canzone consigliata: “I will survive”, Gloria Gaynor.

 

Giancarla: Il mio benvenuto più cordiale ad Antonio Manzini e al suo… non so come definirlo: coinquilino?

Antonio Manzini: … “Convivente”, oramai “convivente”.

G.: Ah, bene: … “convivente” Rocco Schiavone. E chi è Rocco Schiavone?

A.M.: E’ un vicequestore della Squadra Mobile della Polizia di Stato, trasferito ad Aosta per motivi disciplinari ormai da… (non riesco quasi più a fare i conti da quando è uscito il primo libro che era “Pista Nera”!)…quasi un anno, : è un poliziotto un po’ sui generis, non rispetta le regole, anzi, spesso mette le mani in faccende poco chiare e ha un passato banditesco. E’ nato a Trastevere negli anni ’60: da ragazzino frequentava dei banditi di strada. Il suo curriculum è quello, viene dalla strada, il suo senso etico viene da lì, i suoi principi morali sono quelli lì e i suoi amici sono tutti banditi: così lui ha un modo di agire abbastanza… complesso dal punto di vista poliziesco, perché non è un poliziotto corretto, non segue le regole e quindi, all’ennesimo guaio che combina a Roma, lo trasferiscono ad Aosta. Così si ritrova lontano dalla sua casa, dal suo clima, dai suoi paesaggi: insomma, viene tradotto in un luogo che per lui è un posto senza nome e senza prospettive. In più, ha un lutto sulle spalle: la morte della moglie, che gli pesa più di ogni altra cosa. Insomma, possiamo dire che è un uomo “sul viale del tramonto”. E’ sostanzialmente un depresso, ha poche speranze, è un uomo che si trascina nella vita solo per inerzia, ecco: non vive.

G.: …Che ritratto meraviglioso hai fatto di quest’uomo, che possiamo facilmente definire – e non so se questa etichetta ti piaccia – un “antieroe”… ! Hai ricordato che Rocco Schiavone non ha più la moglie: però è come se l’avesse ancora, perché parla con il suo fantasma. E’ una soluzione, dal punto di vista narrativo, che mi ha incuriosito perché non so se sia facile raccontare il fantasma di una presenza per lui così fondamentale.

A.M.: …Più che altro, la sua è una “visione”. Lei è, come giustamente dici tu, un fantasma, ma in realtà lui parla con se stesso, anche perché succede una cosa stana – o forse è normale, non lo so: quando qualcuno ci manca, siamo abituati a mettergli in bocca noi le parole. Stiamo con la sua proiezione, non viviamo la persona come realmente era; più passano gli anni e più ce la creiamo a nostra immagine e somiglianza. Per questo, in realtà sono delle specie di monologhi quelli che lui fa davanti allo specchio, seduto nel salone di casa sua, immaginando la presenza della moglie: narrativamente, è un escamotage per parlare dell’interiorità di questo personaggio, per dare al lettore una prospettiva migliore,  multidimensionale. I libri sono scritti in terza persona, e quindi con un io narrante staccato dall’io narrato, così mi sembrava bello e anche molto tenero e nostalgico farlo parlare con una persona per lui molto importante, ma che non c’è più.

G.: Infatti c’è molta tenerezza in questi passaggi del racconto. Tornerei al volume del quale ci stiamo occupando, perchè si tratta di una raccolta di cinque editi, non siamo di fronte a degli inediti.

A.M.: Sì, sono editi e questo importante: ci teniamo tanto a ricordare, sia io che l’Editore – anche con la fascetta sul libro – che questi racconti sono già usciti nelle raccolte Sellerio degli ultimi tre anni e Antonio (Sellerio: n.d.r.) ora li ha voluti riunire in un unico volume.

G.: Mi sembra una utile ricostruzione, sia pure attraverso il racconto e non attraverso il romanzo vero e proprio, del prima di questo personaggio, che da subito è stato molto amato: per altro, il riscontro in libreria è del tutto positivo. Ma tu come hai accolto questa idea di Sellerio?

A.M.: L’idea è venuta ad Antonio un po’ di tempo fa, non mi ricordo nemmeno quando: io ero un po’ scettico perché, lo ripeto, sono racconti già editi e temevo che si potesse incorrere in un errore di onestà verso il lettore. Ci voleva una grande attenzione nel veicolarli perché, sai, a volte succede che uno scrittore cambi editore e la nuova Casa Editrice cambi il titolo: poi compri il libro e scopri che lo hai già letto. E’ una cosa molto sgradevole e io avevo paura che i lettori che avrebbero comprato i cinque racconti provassero delusione e anche rabbia, perché, insomma, spendono dei soldi! Però, con tutte le attenzioni del caso, siamo riusciti a comunicare con assoluta chiarezza di che cosa si trattasse. E’ un libro al quale io ho pensato fino ad un certo punto: poi ho persino dimenticato che dovesse uscire, perché era una sorta di cadeau, di regalo che Antonio voleva fare a Rocco Schiavone e a me, e quindi lo consideravo una specie di – …come si può dire? – tiratura limitata. Devo dire però che né io, né Sellerio ci aspettavamo un riscontro del genere.

G.: Questo significa anche che la dimensione del racconto risulta congeniale al personaggio: sembrerebbe quasi una contraddizione, perché, probabilmente, un personaggio come quello di Schiavone è difficile da gestire nello spazio contingentato del racconto.

A.M.: Sì, è difficilissimo. Ma io credo che già il racconto, di per sé, sia più complesso del romanzo, non è vero che siccome è breve è anche più facile, anzi: trovo che qualunque sia il suo contenuto, il racconto presenta una difficoltà enorme, perché la sua dimensione ti obbliga a stare stretto, ma sviluppando comunque i famosi “tre atti della narrazione”; ci deve essere una struttura forte. E’ difficile. Per fare una comparazione un po’ azzardata, è come se il romanzo fosse un quadro e il racconto un disegno a china: il disegno a china è molto più difficile del quadro. Non è vero che la china è uno “schizzo”, assolutamente: anzi, non è nemmeno aiutato dai colori o dalla dimensione della tela, che può anche buggerare il visitatore del museo. La grandezza della tela può già lei lasciare di stucco e invece il disegno a china spesso è piccolo, concentrato: eppure ha ugualmente ombre, profondità. Ha un’anima. E’ molto difficile.

G.: Adesso dobbiamo parlare di un’altra bella notizia: fra non molto potremo seguire su Rai2 la fiction, attesissima, dedicata a Rocco Schiavone. Abbiamo anche le sue fattezze fisiche (quelle vere, intendo, non quelle che ogni lettore si può fare nella sua mente e che tu, naturalmente, hai immaginato quando hai creato questo personaggio): corrispondono a quelle di Marco Giallini. Però – lo so: la domanda te l’avranno già fatta in mille, ma devo fartela anche io -, senza nulla togliere a Giallini (anzi: ho anche fatto una piccola inchiesta e mi pare che i tuoi lettori avessero suggerito anche Valerio Mastrandrea): a meno che la tua esperienza di attore sia per te conclusa o ci siano state altre esigenze di produzione, non ti ci saresti visto tu a interpretare Schiavone?

A.M.: No: assolutamente no. Per tanti motivi: primo, perché quella della recitazione è una esperienza della mia vita oramai conclusa, non ho voglia di riaprire quel fascicolo lì; poi trovo sconveniente, e anche abbastanza arrogante, scrivere dei libri e poi addirittura andarli a interpretare: sinceramente, mi sembra un peccare di ubris… Non è elegante, ecco.

G.: Ma la tua potrebbe essere anche una presa di distanza psicologica da un personaggio come Schiavone che, visto che lo definivi prima un “convivente”, è una presenza sì positiva, ma anche ingombrante nella tua vita?

A.M.: Eh sì, appunto, non è che puoi vivere solo di questa persona: ho scritto anche le sceneggiature della fiction, e già mi è sembrato uno sforzo titanico, ma poi la cosa bella è che questo “bambino” lo prendano in mano altri e lo portino a scuola. Non sta a me: io anzi sono contento che ci sia tanta passione nel regista Michele Soavi, nell’attore Marco Giallini, nella produzione… Mi sembra che ci siano tante cose belle che sono andate a posto. Sono contento: adesso sta a loro. Anzi: io non ne voglio sapere quasi niente.

G.: Mi sembra un atteggiamento molto “sano”, se posso permettermi.

A.M.: Più che altro è la cosa migliore per continuare a vivere serenamente, per quanto uno possa vivere serenamente.

G.: L’altro “inciampo” nel quale devo ovviamente incorrere è l’inevitabile accenno ad Andrea Camilleri, tuo insegnante in Accademia di Arte Drammatica di Roma: diciamo che lo hai conosciuto in tempi non sospetti per entrambi. La sua “lezione” ti serve, come scrittore?

A.M.: Andrea è stato il mio maestro di Regia, con lui ho fatto tanti spettacoli: le cose te le faceva capire, non te le diceva. Lui mi ha avvicinato ad un tipo di lettura che in quel periodo è stata molto importante: di scrittura non abbiamo mai parlato, mai, perché si parlava solo di teatro e quindi, casomai, si parlava di letteratura teatrale, non di narrativa o di saggistica, e se era saggista riguardava il teatro. Certo, poi uno fa quel mestiere, usando continuamente le parole, perché sono quelle con le quali campi: forse, alla fine, pian piano qualcosa nasce e cresce e tu nemmeno ti accorgi del perché. Andrea è stato fondamentale per farmi capire tante cose del teatro, che a suo modo è a sua volta letteratura.

G.: Per esempio?

A.M.: Per esempio, la bellezza di alcuni dialoghi e il perché alcuni dialoghi vengano scritti in un modo che sembrano delle catene di montaggio, e poi i richiami, l’uso delle parole… Gli attori – quelli di teatro, intendo – sono molto concentrati sulla parola: gli attori con la parola veicolano il loro essere. Il Teatro è tutto parola e se uno lo legge lo trova molto noioso, perché le descrizioni sono poche: però la parola per l’attore è importante, la parola vuol dire qualcosa di molto profondo, per cui bisogna anche ragionare sulle parole, quando si legge o si recita un testo. Sono tutte cose che ti rimangono, perché le parole hanno suoni e significati profondi: perché quel drammaturgo ha scelto proprio quella parola e non un’altra per descrivere quella sensazione, perché ha scelto quell’aggettivo e non un altro? C’è sempre un motivo, e più lo scrittore è grande (Shakespeare, Moliére…) più è difficile tradurlo: per esempio, puoi scavare in Cechov per anni e non arrivare mai a capire perché abbia scelto determinate parole, perché non ne abbia messe altre. E alla fine, tutto questo pensare e riflettere sulle parole – che è di una noia spaventosa – porta una certa maturità rispetto all’attenzione che bisogna dare alle parole, ai concetti che esse esprimono, alle sensazioni che veicolano. Secondo me, questa è l’unica cosa relativa alla scrittura che mi ha lasciato Camilleri,… ma lo avrebbe fatto qualunque regista “vero”: non è che Luca Ronconi dicesse cose diverse. Andrea mi ha lasciato, questo sì, l’amore per certa letteratura e la voglia di trovare all’interno di una struttura narrativa, sempre e comunque, l’aspetto più smaliziato, e forse anche più ironico, della vita. Questo, sicuramente.

G.: A questo proposito, la sensazione che ho avuto leggendoti è che tu ti diverta molto, mentre scrivi: è davvero così? O, se preferisci, posso chiederti (alla maniera delle domande “accademiche”): che rapporto hai con la scrittura?

A.M.: Beh certo, quando scrivi ti devi divertire, anche se ti trovi nella tristezza o nella condizione più nera, altrimenti comunichi noia, ne sono convinto. Anche questo, probabilmente, mi viene dal teatro: se quando fai uno spettacolo ti rompi i coglioni è difficile che ti sta a guardare trovi giovamento; lo stesso avviene con la scrittura. Ci deve essere comunque amore, divertimento e onestà in quello che fai e in quello che scrivi, altrimenti stai creando una costruzione falsa o non sei vicino a chi ti legge, a prescindere dal genere narrativo. Per me riguarda ogni libro: quando leggi uno scrittore che ti piace, ti rendi conto che ti sta passando innanzitutto la sua voglia di comunicarti questo divertimento; quando invece percepisci che dietro c’è altro, per esempio una tesi da dimostrare, il libro risulta molto noioso.

G.: Certamente i tuoi non lo sono.

A.M.: Grazie

G.: No, grazie a te che scrivi delle cose che ci piacciono! Ne starai scrivendo delle altre, immagino…

A.M.: Sì.

G.: Puoi dirci qualcosa?

A.M.: Questa estate, al più tardi, dovrebbe uscire il nuovo romanzo, speriamo.

About Giancarla Paladini

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