“Angelo e il Giorno Felice”: questa è una storia vera (anche se sembra una fiaba di Natale).

Questa è una storia vera (anche se sembra una piccola fiaba di Natale).

E, oltre a raccontarvela, ho voluto anche leggerla: l’audio è proprio qui sopra.

Angelo era al suo primo incarico, per cui, nel suo mestiere, era un principiante assoluto: ne era consapevole e se ne vergognava moltissimo, perché gli sembrava proprio di non essere all’altezza. Per carità, quel lavoro gli piaceva molto e, anzi, quando glielo avevano proposto (perché non era stato lui a cercarlo, non ne avrebbe mai avuto la presunzione) aveva balbettato:

“…Ma proprio io…? Ma siete sicuri…? Non ho mai fatto niente del genere…E’ una responsabilità pazzesca…Non so se ce la posso fare…”.

Ma subito si era zittito, perché i suoi dubbi gli suonarono come una specie di blasfemia: chi era lui, in fin dei conti, per mettere in dubbio le scelte del Capo? Mai, in tutta la sua esistenza (… e Angelo esisteva da moltissimo tempo!) aveva dubitato di Lui, mai aveva avuto modo di pentirsene, mai si era lamentato, nemmeno quando le cose non andavano per niente bene e, sinceramente, un’idea di protesta gli era balenata nella mente; ma poi capitava sempre qualcosa che gli faceva capire che dietro tutto c’era un disegno, un progetto … Quale non avrebbe saputo dire, ma il solo pensiero lo consolava: insomma, Angelo era proprio convinto che nessuno fosse meglio del suo Capo.

Così, quando gli aveva comunicato il nuovo incarico aveva ingoiato a fatica un po’ di saliva e si era messo a studiare il dossier: sì, perché ad Angelo era stata affidata una bambina che stava per nascere e che lui avrebbe dovuto seguire, proteggere, tutelare. Già così la cosa gli sembrava un’impresa titanica, ma il vero guaio era che la sua sarebbe dovuta essere una presenza discreta, molto discreta: anzi, invisibile.

E come avrebbe potuto impedire che la sua assistita commettesse degli errori, che si cacciasse nei guai, che si facesse del male, come poteva aiutarla e, magari, farla felice, se doveva starsene così nascosto?

“Troverai il modo – gli disse Gabriele, Dirigente della Sezione Maternità, Infanzia e Comunicazioni – Ricorda solo che le scelte che la tua assistita farà dovranno essere le sue e non le tue, dovrai suggerire, mai imporre; e se anche lei dovesse allontanarsi, tu non dovrai mai mollare, perché quando meno te l’aspetterai lei ti chiamerà”.

E dopo avergli assestato una bella pacca sulla spalla per incoraggiarlo, Gabriele si allontanò, lasciandolo più confuso che persuaso.

Mancava poco tempo alla sua presa di servizio e Angelo lo passò tutto cercando di chiedere ai colleghi più esperti come comportarsi nelle varie situazioni, ma la risposta era, invariabilmente, sempre la stessa:

“Troverai il modo”.

E il giorno arrivò.

Era una caldissima giornata d’estate quando la sua assistita venne al mondo.

Per la verità rischiò di non farcela, perché Angelo, emozionatissimo, aveva calcolato male la data e non si presentò in sala parto se non a nascita avvenuta: … appena in tempo, però, per vedere che, una volta nata la creatura, tutti stavano rivolgendo la loro attenzione alla madre, che sembrava non farcela, e, come ipnotizzati dalla tragedia che poteva accadere, si erano dimenticati (…sì, di-men-ti-ca-ti!) della neonata.

“Se ci sarà un problema, troverai il modo di risolverlo”, gli avevano detto, ma nemmeno aveva cominciato a lavorare e già gli capitava un guaio enorme, che Angelo non sapeva come evitare!

Intanto, la piccola stava diventando cianotica, perché nessuno le aveva fatto fare il primo respiro.

Fuori, i parenti stavano in attesa, spaventati: fra loro, la nonna della piccola. “… La nonna!”, pensò Angelo, battendosi la mano sulla fronte.

Fu un attimo: senza nemmeno chiedere se il suo collega – quello che seguiva la nonna – fosse d’accordo, le si avvicinò e le diede un pizzicotto sul sedere; la donna si alzò di scatto e lui la spinse in malo modo davanti all’oblò che separava il corridoio dalla sala parto, così da farle vedere la creaturina che diventava sempre più blu.

La nonna era molto corpulenta e, resasi conto della situazione, si slanciò con tutto il suo peso nella sala parto, urlando “La bambina!!!”.

In un attimo, la suora infermiera, come risvegliata, prese la neonata e le assestò il classico sculaccione.

Niente.

Calò il gelo.

Angelo, spaventatissimo, sussurrò alla piccola: “Forza, ce la puoi fare! Ci sono qui io!”. Un altro schiaffo e questa volta la piccola, che certamente lo aveva sentito, lanciò il suo primo grido, respirando forte.

Quello fu solo il primo degli interventi che Angelo dovette fare per proteggere la sua assistita, che a mano a mano si rivelava vivacissima, curiosa e senza alcuna paura del pericolo, tanto che, preoccupato, ogni tanto alzava gli occhi al Cielo e diceva al suo Capo:

“Ricordati che è il mio primo incarico: mica lo so se ce la faccio con ‘sta qua! Un assistito un po’ più tranquillo, no, eh?”.

Non gli si poteva dare torto: una volta, per esempio, dovette chiamare il primo che passava per farla scendere da un albero sul quale si era arrampicata e dal quale, come un gattino, non riusciva più a venir giù; un’altra volta la piccola si slanciò a ripetizione dal balcone di una casa in costruzione per centrare la montagnola di sabbia che stava sotto e Angelo sudò le sette camicie per sostenerla nel volo e, finalmente, farla stancare di quel gioco pericoloso.

La paura più grande fu però quando la sua assistita, che aveva quattro anni, si ustionò con la macchina del caffè del bar della signora che la teneva quando sua madre lavorava e che lei amava così tanto da chiamarla “zia” benché non fossero parenti: la “zia” quel giorno non stava bene e lei, riconoscente per l’amore che le riservava come fosse davvero sua nipote, decise di prepararle una camomilla, come aveva visto fare molte volte per i clienti.

Fu un attimo: nemmeno Angelo fece in tempo a intervenire che l’urlo della bambina, addosso alla quale era finito il potentissimo getto di vapore, fece gelare il sangue nelle vene di tutti. La piccola venne stesa sul tavolo della cucina, ma il panico impediva ai presenti di fare la cosa giusta, ovvero capire che il maglioncino e la canottiera erano intrisi di acqua bollente: se non lo avessero aiutato i colleghi, che sussurrarono ciascuno al proprio assistito di denudarle il torace, Angelo avrebbe perso la sua bambina. La convalescenza fu lunga, dolorosa e pericolosa: nella zona non esisteva un centro ustionati e la bambina venne curata in casa, sempre con il rischio di infezioni. Ma Angelo vegliava e finì tutto bene.

Lui la seguiva passo passo: per esempio, fu Angelo a insegnarle a leggere, quando lei aveva solo tre anni; gli si riempì il petto di gioia vedendo l’espressione stupefatta della mamma che, sentendole leggere i titoli di coda di un programma televisivo, non poteva credere alle proprie orecchie.

“…Ha imparato a leggere! … Ti dico di sì! Le ho fatto leggere un giornale e ci è riuscita! Ha imparato, ha imparato da sola!”, disse eccitatissima la madre al padre, quella sera.

Angelo non stette a sottilizzare che la bambina non era sola, che era stato lui ad aiutarla: e, del resto, non era questo il suo compito? Da quel giorno, comunque, la bambina cominciò a leggere di tutto e velocemente: pianse per la triste storia della piccola ebrea di Amsterdam, rise fino alle lacrime per le avventure dei bimbi smarriti e del loro capo Peter, si commosse per le fiabe di Andersen, si vergognò e arrabbiò per la stupidità del burattino di legno che faceva soffrire la sua fata, bella e buona come la sua mamma, viaggiò con il marinaio Sinbad e sperò di diventare, da grande, forte e sicura come Jo March.

Angelo la guardava crescere e la tenerezza aumentava col tempo. Non aveva una vita facile, la sua assistita, e poi gli dispiaceva non essere riuscito a soddisfare il suo grandissimo desiderio di leggere la musica e suonare il pianoforte:… perché la musica era la vera passione della bambina, che fin da piccolissima, mentre Angelo le guidava le manine sulla tastiera, strimpellava sul pianofortino giocattolo che le aveva regalato Santa Lucia. I genitori, vista la sua passione, temevano però che la musica distogliesse la figlia dalle “cose serie della vita” e fu solo al suo tredicesimo compleanno che acconsentirono a regalarle una pianola elettrica: … ma non a farle dare anche lezioni di musica…

Alla sua assistita, oramai donna, Angelo voleva proprio bene: quando decise di sposarsi la aiutò a trovare un lavoro, e così successe al suo ragazzo (grazie al collega che assisteva lui, naturalmente); la aiutò a trovare casa, una villetta bifamiliare in affitto, piccola ma perfetta per due sposini; fece in modo che, visto che i ragazzi di soldi ne avevano pochini, trovassero un mobiliere disposto a far loro credito e fu felice vedendoli nella loro casetta, la sua assistita e il maritino nuovo di zecca, mentre per risparmiare imbiancavano da sé i muri, lucidavano le maniglie delle porte e verniciavano gli infissi.

… Ma Angelo, da buon principiante, non aveva fatto caso ai vicini del piano di sopra, che non ascoltavano da anni i suoi colleghi e avevano deciso che per comprare a poco prezzo l’appartamento sotto il loro dovevano fare scappare tutti gli inquilini: così il proprietario, stanco di discussioni, avrebbe ceduto. Per questo, dopo solo un anno di dispetti e dispiaceri, i ragazzi decisero di traslocare.

Angelo era di buon carattere, ma quella storia non gli andava giù e così decise che era arrivato il momento di agire di persona.

Dovete sapere che quando il Capo era soddisfatto concedeva ai suoi collaboratori di farsi vedere dagli assistiti, sia pure senza mai rivelarsi apertamente.

“Che bello…! Ma se non sa chi sono…”, brontolò Angelo.

Lo sguardo del Capo, dolce ma fermo, lo zittì.

“Sì,… sì, certo, certo, lo so…: troverò il modo di farmi riconoscere, eccetera …”.

Così, il giorno dopo il trasloco, approfittando del “bonus”, Angelo si presentò alla sua assistita sotto le vesti di un operaio della compagnia elettrica che doveva staccare il contatore e quando la megera del piano di sopra uscì, urlando stupidamente:

“Lei sta manomettendo i miei collegamenti! Non tocchi nulla o la denuncio!” insieme a una valanga di improperi, Angelo prese fiato e rivolto alla sua assistita, che se ne stava mortificata a vedere la scena, disse:

“Da quanto tempo abitavate qui? Un anno? Ah, beh, ho capito come mai cambiate casa così presto: come si fa a vivere vicino a questa gente stupida, maleducata, isterica” … e tutta una serie di altre parole, mai volgari, ma durissime contro quei tizi.

“In un anno, noi non abbiamo mai replicato ai loro dispetti per non litigare, ma adesso lei ci ha “vendicati” – rise la sua assistita salutandolo – Lei è un angelo, un angelo custode”. E gli strinse la mano calorosamente.

“Mi ha riconosciuto”, gongolò sottovoce Angelo.

Angelo sapeva che nella vita della sua assistita c’erano stati anni di dolore: non aveva potuto impedirlo, non era in suo potere, però pensò che, per quello che poteva, almeno l’avrebbe consolata.

Più volte le aveva sentito dire che, se mai fosse andata negli Stati Uniti, la cosa che avrebbe più di tutte voluto fare era assistere al concerto di un coro gospel – un vero coro gospel – con quei cantanti possenti nelle voci e perfetti nelle movenze, e magari cantare con loro (perché la sua assistita adorava cantare). Però, per quello che lui poteva saperne, non c’era in vista nessun viaggio in America: … ma allora pensò che se la sua assistita non poteva andare in America a sentire un coro gospel – un vero coro gospel americano – beh, sarebbe stato il coro a raggiungerla!

Era quasi Natale quando gli dissero che nella Grande Città ci sarebbe stato il concerto dell’Harlem Gospel Choir: improvvisamente si rese conto che i biglietti rimasti erano pochissimi… Però era anche vero che oramai aveva acquisito una certa esperienza e non gli fu difficile informare la sua assistita del concerto e farle trovare gli ultimi posti disponibili:

“Siete fortunatissimi! Voi siete in quattro e si sono appena liberati proprio quattro posti: … e in terza fila centrale! …Incredibile!”,

disse alla sua assistita e ai suoi amici la sbalordita addetta alla biglietteria del teatro.

Non potete immaginare la gioia di Angelo vedendo la sua “ragazza” (lui la chiamava così, anche se lei era oramai una donna fatta) sorridere felice ascoltando quelle voci e quelle canzoni meravigliose…

Ma lui non era ancora del tutto soddisfatto: voleva di più per la sua “ragazza”, voleva che quella serata restasse memorabile e però, di nuovo, non sapeva che fare. “Troverai il modo”, si ricordò, e infatti Angelo lo trovò: parlottò con un po’ di colleghi presenti sul palco e si mise, sorridente, accanto alla sua assistita.

“Ed ecco il nostro ultimo pezzo – era il direttore del coro a parlare – Siccome manca poco a Natale e Natale è una festa bellissima, dove si sta tutti insieme con gioia e amore e si dimenticano, per qualche ora almeno, i dispiaceri, abbiamo la canzone giusta: cantatela con noi!”.

E intonò “Oh, Happy Day”.

Le note si dispiegavano, mentre il direttore del coro… scendeva dal palco! La sua assistita non poteva credere a quello che stava accadendo, ma…sì, quel cantante meraviglioso le stava tendendo la mano e stava chiamando sul palco lei e la sua amica…

“Ma perché noi e non quelli della prima fila? Perché noi e non quelli seduti vicino al corridoio?” si chiedeva lei, indugiando.

Angelo sospirò e la spinse, con un leggero buffetto: sapeva bene che, a dispetto delle apparenze, la sua assistita era un po’ timida e aveva bisogno, appunto, di una spintarella.

Così si ritrovarono tutti sul palco, lui, i colleghi, il coro, la sua assistita, e Angelo percepiva benissimo il battere forte del cuore felice di lei, che si inebriava di quelle voci meravigliose da contralto, soprano, baritono e tenore, e si commosse quando la sentì cantare (lei, che capiva perfettamente il significato di quelle parole):

“… Mi ha insegnato a lottare e pregare, lottare e pregare, lottare e pregare”.

Tornando a casa, felice e del tutto incredula per quello che le era capitato, la sua assistita disse agli amici:

“Io lo so: è stato il mio Angelo custode a farmi questo regalo… Perché il mio Angelo è sì al suo primo incarico, è anche un po’ maldestro, magari, ma ci mette tutta la buona volontà e ogni tanto riesce a fare cose pazzesche. Grazie, Angelo!”

E guardò verso l’alto, facendo l’occhiolino.

Angelo, che in quel momento non stava in alto ma accanto a lei e le teneva la mano, scoppiò a ridere e disse “Prego!”.

Quante cose la sua assistita sapeva di lui, senza che nessuno gliele avesse dette…

Forse.

Di colpo, capì una cosa che fino ad allora non aveva capito: che le anime si parlano fra di loro guardandosi con gli occhi dell’amore, occhi che ci vedono benissimo.

E allora alzò anche lui i suoi al Cielo, facendo l’occhiolino al suo Capo che ricambiò, mentre ancora fischiettava “Oh Happy Day” schioccando le dita a tempo.

Fu in quel preciso momento che Angelo, che nel suo mestiere era un principiante assoluto – essendo al primo incarico – capì finalmente che cosa intendessero il Dirigente Gabriele e i colleghi anziani, quando alle sue richieste di suggerimenti rispondevano: “Troverai il modo”.

“… Certo! Se vuoi aiutare qualcuno, se vuoi davvero farlo felice, un modo lo troverai”, si disse Angelo.

Quello fu un giorno felice anche per lui.

Come ho già spiegato, questa è una storia vera, anche se parla di Angeli: …anzi, proprio per quello…

Buon Natale, Amici!

Giancarla Paladini

Canzone consigliata: “Oh, Happy Day!”, Harlem Gospel Choir

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4 thoughts on ““Angelo e il Giorno Felice”: questa è una storia vera (anche se sembra una fiaba di Natale).

  1. Giancarla, sei al top, sono orgogliosa di averti come cugina , ma ancora più importante , come amica. Ho ascoltato la bella fiaba dell’Angelo e sono commossa ed estasiata, è una fiaba bellissima e dolcissima.
    Ti voglio tanto bene
    Lilla

  2. Sono Maria, una bambina di 10 anni.
    Questa storia mi è piaciuta tantissimo, sopratutto la fine è emozionante.

    1. Ciao, Maria! Grazie mille: sono felice di quello che mi hai scritto e del tempo che mi hai dedicato. So che ti piace leggere: continua così, è una cosa bellissima. E ti mando anche un bacino sul naso

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